Seppur minoritaria e sovrastata dai boati delle bombe (e a volte dal dissenso violento di manifestanti nazionalisti), si alza la voce del dialogo e della pace in Israele. Sabato scorso, 12 luglio, nel comune a maggioranza araba di Tira, vicino a Tel Aviv, si è svolta una manifestazione con circa 400 persone, cittadini ebrei ed arabi israeliani. Esperimenti di «buon vicinato» ai confini della Striscia di Gaza.
(c.g.) – Seppur minoritaria e sovrastata dai boati delle bombe (e a volte dal dissenso violento di manifestanti nazionalisti), si alza la voce del dialogo e della pace in Israele. Sabato scorso, 12 luglio, nel comune a maggioranza araba di Tira, vicino a Tel Aviv, si è svolta una manifestazione con circa 400 persone, cittadini ebrei ed arabi israeliani. I partecipanti si sono radunati intorno a uno striscione su cui era scritto: «Ebrei e arabi rifiutano di essere nemici». «Ancora prima che i quattro giovani fossero rapiti e uccisi e questa guerra iniziasse, abbiamo convocato un gruppo di attivisti per la pace di varie organizzazioni per pensare a come possiamo essere efficaci nel far sentire la voce di quanti sono interessati alla pace – ha spiegato Eyas Shebta, direttore generale del villaggio Nevé Shalom-Wahat al Salam, promotore dell’iniziativa -. Dopo la manifestazione di sabato ce ne saranno altre; vogliamo continuare a dedicare il nostro impegno a radunare ebrei e arabi, condividendo le nostre speranze e i nostri sogni nel costruire la pace e l’uguaglianza». Alla manifestazione hanno partecipato rappresentanti di organizzazioni pacifiste e gruppi politici come Peace Now, i partiti di sinistra Hadash e Meretz, Rabbini per i Diritti Umani, Psychoactive (operatori nel campo della salute mentale difensori dei diritti umani e contrari all’occupazione dei Territori Palestinesi), gli ambientalisti di Friends of the Earth Middle East (Foeme) e Alliance for Middle East Peace (Allmep).
Anche a Gerusalemme e a Tel Aviv, in questi giorni si sono svolte piccole manifestazioni di pacifisti che chiedono la fine del conflitto e dei bombardamenti su Gaza. In entrambe le città le manifestazioni sono però state disturbate da manifestanti nazionalisti, che giustificano l’operazione militare. Secondo il blog israeliano +972mag, a Tel Aviv il 12 luglio una piccola manifestazione di pacifisti sarebbe terminata con un fuggi fuggi, a causa dell’attacco di manifestanti di destra. I due fronti si sarebbero prima a lungo affrontati con gli slogan «Ebrei ed arabi rifiutano di essere nemici» da una parte e «Morte agli arabi» dall’altra, rimanendo in silenzio solo quando le sirene antiaeree hanno suonato su Tel Aviv ed il sistema missilistico israeliano Iron Dome («Cupola di ferro») ha neutralizzato i razzi di Hamas nel cielo della città.
Un piccolo ponte di pace lo sta gettando in questi giorni un’associazione chiamata Other Voice, che raccoglie diverse decine di cittadini israeliani residenti nei comuni del deserto del Negev, come Sderot, a ridosso del confine con la Striscia di Gaza.
L’associazione, attiva da cinque anni, si pone l’obiettivo di mantenere buoni «rapporti di vicinato» con i palestinesi della Striscia. Nel corso di questi anni l’associazione ha promosso rapporti di conoscenza ed amicizia tra israeliani e palestinesi; ha organizzato cinque seminari sulla pace, a cui hanno partecipato israeliani e palestinesi; ha lanciato campagne di raccolta fondi a fine umanitario per Gaza; ha ospitato centinaia di visitatori internazionali interessati al pacifismo. Con lo scoppio del conflitto tra Hamas e Israele, l’associazione ha iniziato un’attività di supporto umano: dopo il lancio di razzi dall’una e dall’altra parte, israeliani e palestinesi si chiamano al telefono per darsi coraggio e informarsi sulle reciproche condizioni («I palestinesi, a differenza di noi israeliani non hanno rifugi in cui ripararsi…», puntualizza una volontaria di Other Voice). L’associazione si oppone all’uso delle armi da entrambe le parti e chiede una tregua immediata al conflitto. Per questo ha lanciato una petizione dal titolo Porre fine alla violenza tra Israele e Gaza a cui si può aderire tramite il sito web di Other Voice. «Nelle passate settimane la violenza è nuovamente esplosa nella regione – recita la petizione -. I bombardamenti israeliani su Gaza e i razzi sparati da Gaza verso la popolazione civile in Israele, uccidono, mutilano, traumatizzano e devastano le popolazioni innocenti da entrambe le parti. Questa realtà va avanti da anni ed è inumana ed insopportabile! Noi ci meritiamo di vivere vite normali, sicure e piene di speranza. È tutto ciò che chiediamo! Chiediamo alle autorità Israeliane e palestinesi di porre fine alla violenza una volta per tutte. Trovate il modo di sedervi e parlare tra voi, finire gli attacchi e l’assedio a Gaza e smettere di giocare con le nostre vite. Chiediamo ai governi del mondo di insistere sui nostri governi affinché finisca questa pazzia e trovino il coraggio per finalmente passi decisi per dare stabilità e tranquillità alla regione».
Ad oggi le vittime palestinesi dell’operazione militare su Gaza hanno raggiunto quota 213: si calcola che quasi 8 su dieci siano civili, incluse donne e bambini, di certo non combattenti. Ieri un colpo di mortaio palestinese ha fatto la prima vittima israeliana: un uomo di 37 anni ucciso nei pressi del valico di Erez.