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Per padre Paolo, a un anno dal rapimento

Carlo Giorgi
29 luglio 2014
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Per padre Paolo, a un anno dal rapimento
Padre Paolo Dall'Oglio nel monastero di Mar Musa.

È passato un anno da quando padre Paolo Dall'Oglio, sacerdote e gesuita italiano, è scomparso nella città siriana di Raqqa, probabilmente rapito da un’organizzazione fondamentalista islamica. Ieri la famiglia Dall’Oglio ha diffuso un appello ai responsabili della scomparsa del loro congiunto. Perché lo liberino o diano notizie certe sulla sua sorte.


È passato un anno da quando padre Paolo Dall’Oglio, sacerdote e gesuita italiano, è scomparso nella città siriana di Raqqa, probabilmente rapito da un’organizzazione fondamentalista islamica. Un anno caratterizzato dalla completa mancanza di notizie sulla sua sorte. Ieri la famiglia Dall’Oglio ha diffuso un appello indirizzato ai responsabili della scomparsa del loro caro congiunto. Un video rimbalzato su molti mass media e reti sociali – come Youtube – in italiano e in inglese.

«È oramai passato un anno da che non si hanno più notizie di nostro figlio e fratello Paolo, sacerdote – dicono nel video un fratello e una sorella del gesuita –. Tanto, troppo tempo anche per un luogo di guerra e sofferenza infinita come la Siria. Chiediamo ai responsabili della scomparsa di un uomo buono, di un uomo di fede, di un uomo di pace, di avere la dignità di farci sapere della sua sorte. Vorremo riabbracciarlo, ma siamo anche pronti a piangerlo».

Padre Paolo, che compirà tra poco 60 anni, da più di trenta vive in Siria dove ha rifondato l’antico monastero siriaco cattolico di Mar Musa, luogo di ospitalità per tutti e di dialogo tra cristiani e musulmani.

Di lui si sono perse le tracce il 29 luglio del 2013 dopo la sua vista, nella città di Raqqa, al quartier generale dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (la violenta organizzazione fondamentalista che ha proclamato qualche settimana fa un califfato islamico su parte della Siria e dell’Iraq).

Dallo scoppio della rivolta contro il governo di Damasco, nel marzo 2011, padre Paolo ha sempre mantenuto buone relazioni con il fronte laico dell’opposizione al regime del presidente Bashar al-Assad. Ha anche sempre tentato di dialogare con i gruppi più radicali dello stesso schieramento.

È illuminante quanto scrive Paolo nel suo libro-biografia (Collera e luce, un prete nella rivoluzione siriana, Emi, 2013) descrivendo il suo viaggio in Siria della primavera del 2013, l’ultimo prima di quello del luglio successivo, quando viene rapito. Paolo si trova tra Aleppo e Damasco, vicino alla città di Sharaqeb, conquistata dagli insorti: «I combattenti di Jabhat al-Nosra e Ahrar al-Sham si divertono a chiedermi se non ho paura di loro, i terroristi! -scrive forse ironicamente -. Un giovane egiziano mi confida che fa parte di una lista di cinquecento volontari per attacchi suicidi. Non ha l’aria di un folle… e non è mosso tanto dall’odio, quanto dallo spirito di sacrificio. Sono circondato da giovani ai quali è facile affezionarsi, ma di cui percepisco chiaramente la rischiosa deriva verso la quale potrebbero scivolare. Siamo in lotta contro il tempo». Padre Paolo percepisce insomma, nella primavera del 2013, la necessità di fare presto a dare alternative costruttive – e non distruttive – ai giovani impegnati nella rivoluzione, pronti a immolarsi e ormai privi di speranza. Ed è per questa urgenza che decide probabilmente di rientrare in Siria poche settimane dopo.

«Cosa mi ha spinto ad andare a mettermi in pericolo nella regione dell’Oronte? – si domanda il gesuita qualche riga dopo -. Il fatto che la rivoluzione per la libertà e la dignità è stata trascinata nel fango di una guerra civile tra musulmani sunniti e sciiti alawiti (…) è una guerra civile che lacera la mia anima (…) – confessa –. Vorrei fare due cose nel senso dell’intercessione, nel senso di essere ponte. La prima intenzione è quella di passare alcuni giorni in preghiera. Io credo alla forza della preghiera (…). La seconda intenzione è di andare in visita ai luoghi dei massacri, luoghi che portano i nomi di Hula, Buaida e decine di altri. (…) E poi, niente, aspetterò. (…). È evidente che mi augurerei di morire per poter sostenere questa posizione di solidarietà e di intercessione fino in fondo. Però sarò prudente e non mi metterò in pericolo in modo irrazionale, perché riconosco la signoria di Dio nella mia vita, Dio padrone della vita e della morte della mia esistenza. Ma non voglio vivere  una vita che sia altro da un dono radicale, a morte, a vita».

A Roma oggi, viene celebrata una messa di intercessione per padre Paolo alle 18.30, nella chiesa di San Giuseppe, in via Francesco Redi 1. Altre iniziative di preghiera si svolgono a Parigi, Beirut, Bruxelles e Berlino.

Nel nord della Siria, oltre a padre Paolo, restano nelle mani dei sequestratori anche due vescovi e due sacerdoti delle Chiese orientali ortodosse, rapiti nel corso del 2013.

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