Il rapimento e la barbara esecuzione di tre ragazzi ebrei. L’assassinio ugualmente brutale di un diciassettenne palestinese, bruciato vivo per ritorsione da alcuni coloni. I rastrellamenti dell’esercito israeliano nei Territori occupati, gli arresti, le vittime palestinesi (decine) e le manifestazioni di piazza e gli scontri. Poi i razzi di Hamas sulle città del Neghev, su Tel Aviv e persino Gerusalemme; in risposta i pesanti raid aerei dell’aviazione israeliana su Gaza, con varie decine di morti tra la popolazione civile… Di nuovo sangue in Terra Santa. Violenza e vendetta sembrano l’unico linguaggio che Israele e Palestina intendono.
Dentro il mondo israeliano e palestinese si levano le voci di condanna, ma mentre si invita alla pace, saettano le bombe. Ciascuno invoca la propria sicurezza, la propria tranquillità, senza che venga considerata la sicurezza e la tranquillità dell’altro. L’ingiustizia che tocca entrambe le parti e che appare lampante in quelle terre (legata al possesso della terra difesa con le armi, alle barriere che dividono famiglie e villaggi, alla pratica del terrorismo propagandata come legittimo strumento di azione politica, al controllo unilaterale delle risorse naturali e delle sorgenti, alla moltiplicazione degli insediamenti) sembra non interrogare più di tanto le coscienze. Chiusi nella propria visione molto spesso unilaterale, israeliani e palestinesi si rimpallano responsabilità, accusandosi a vicenda. Un rituale che non conduce da nessuna parte.
Chi ha una visione di fede non può però rassegnarsi a questo dato di fatto. Le vite recise di Eyal, Gilad e Neftari (i ragazzi ebrei) e quella spezzata di Mohammed (il giovane palestinese), come le tante vittime dei bombardamenti aerei, devono indurre a riflettere sulle conseguenze imprevedibili e a volte irrefrenabili che l’incitamento all’odio porta con sé. La sfida oggi non è combattere, alzare il livello dello scontro, riaprire gli arsenali, adoperarsi con ogni mezzo per conquistare qualche metro di terra. La sfida vera (come ha indicato Papa Francesco durante il suo viaggio in Terra Santa) sta nel cambiare logica, nell’osare strade nuove. E nel coraggio di accogliere e perdonare, nel nome della comune appartenenza all’umanità. Un percorso di giustizia e di purificazione (certamente doloroso) che deve partire dalla necessità di riconoscere l’altro come ugualmente degno. Solo allora Dio concederà la grazia della pace a chi lo prega. E si realizzerà l’invocazione del salmo: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo».