Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Dal lutto un nuovo impegno per la vita

Giorgio Bernardelli
1 luglio 2014
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Appena ieri in questa rubrica parlavamo della vicenda dei tre ragazzi israeliani rapiti, commentando riflessioni che - alla luce della terribile scoperta dei loro corpi ieri sera - sono ormai tragicamente superate. Sappiamo tutti che sono cominciate ore che rischiano di far sprofondare ulteriormente la Terra Santa nel baratro dell'odio...


Appena ieri in questa rubrica scrivevo della vicenda dei tre ragazzi israeliani rapiti, commentando riflessioni che – alla luce della terribile scoperta dei loro corpi ieri sera – sono ormai tragicamente superate. Sappiamo tutti che sono cominciate ore che rischiano di far sprofondare ulteriormente la Terra Santa nel baratro dell’odio. Per questo mi limito a riportare qui sotto le parole di due uomini molto coraggiosi, che anche ieri sera – a caldo, appena ascoltata la notizia – hanno saputo pronunciare con sapienza parole di pace e non di vendetta.

Quello che segue è il comunicato diffuso da rav Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Nord Italia, già rabbino capo di Milano:
«Quello che molti purtroppo si aspettavano si è verificato. Le tre giovani vite di Eyal Yifrach, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel sono state crudelmente strappate alle loro famiglie senza pietà alcuna, con barbara violenza e viltà.
Il Popolo di Israele possiede un patrimonio etico e religioso che nei suoi presupposti ideali addita da sempre la via privilegiata del dialogo, della convivenza e dell’incontro, specie laddove appaiono difficilissimi e improbabili da realizzarsi.
Secondo i Maestri di Israele, coloro che studiano la Torah aumentano e diffondono la pace nel mondo. È quindi particolarmente doloroso e paradossale constatare come questi tre giovani studiosi di Torah, prima ancora che avessero occasione di affacciarsi alla vita adulta e di offrire il loro particolare contributo a Israele e agli altri loro fratelli umani, siano stati coinvolti in un desiderio di distruzione e di morte.
L’esigenza della difesa del diritto alla vita dei cittadini di Israele, come pure purtroppo recentemente si è visto anche degli ebrei delle Comunità di Europa, è un obbligo morale non negoziabile. E tutti, ebrei e non ebrei, anche avversari, dovrebbero avvertire il dovere morale di arrestare l’assommarsi di violenza a violenza e la profanazione continua dell’unica immagine di Dio che ci è dato scorgere: l’altro essere umano».

Quest’altro – invece – è il commento postato in Israele da Arik Ascherman, dei Rabbis for Human Rights (Rabbini per i diritti umani):
«Oggi è il terzo giorno del mese di Tamuz. Venticinque anni fa, proprio il terzo giorno del mese di Tamuz, mi sono sposato, e qualcuno ricorderà che ci fu un attentato terroristico quel giorno. Un terrorista fece precipitare un autobus da una collina sulla strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. Io, mio fratello e diversi amici eravamo appena due autobus dietro, e saremmo potuti benissimo essere su quell’autobus se solo non fossimo arrivati alla stazione un po’ in ritardo. Alcuni dei miei amici arabi israeliani avevano paura di venire a Gerusalemme e ho dovuto faticare molto per convincerli a venire lo stesso. Fummo tutti rafforzati e sollevati quella sera perché nonostante il fatto terribile che era accaduto eravamo insieme, ashkenaziti e sefarditi ed ebrei etiopi provenienti da tutto il mondo, ebrei religiosi e laici, ma anche ebrei e arabi. Possa essere volontà di Dio che anche questa tragedia rafforzi i nostri sforzi collettivi di porre fine al circolo del sangue e ci ricordi che, in forza della nostra comune umanità, il dolore di ogni genitore ferito è lo stesso dolore».

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