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Angelica Calò Livne: «No alla demonizzazione di Israele»

Manuela Borraccino
25 luglio 2014
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Angelica Calò Livne: «No alla demonizzazione di Israele»
Angelica Edna Calò Livne

Per Angelica Edna Calò Livne, fondatrice e direttrice della fondazione Beresheet LaShalom («Un inizio per la pace»), è in atto «una demonizzazione dello Stato di Israele», ma a suo avviso «i palestinesi sono ostaggio dell’organizzazione terroristica Hamas» e la popolazione della Striscia di Gaza «dovrebbe essere annessa dall’Egitto» per trovare prosperità e sviluppo.


Per Angelica Edna Calò Livne, fondatrice e direttrice della fondazione Beresheet LaShalom («Un inizio per la pace»), è in atto «una demonizzazione dello Stato di Israele» ma a suo avviso «i palestinesi sono ostaggio dell’organizzazione terroristica Hamas» e la popolazione della Striscia di Gaza «dovrebbe essere annessa dall’Egitto» per trovare prosperità e sviluppo. La Calò Livne – immigrata da Roma in Israele quando aveva 20 anni – da pochi giorni in Italia per dare vita domani sera in piazza del Duomo a Siena allo spettacolo di teatro danza, in un colloquio telefonico racconta di aver ricevuto «un’accoglienza straordinaria» nel campus internazionale della Settimana della Mondialità (vicino a Piacenza), al quale partecipano 146 ragazzi con 10 educatori. Oltre ai 18 membri tutti israeliani della sua compagnia teatrale (fra ebrei, arabi cristiani, musulmani e drusi), ci sono anche arabi israeliani dei gruppi promossi dall’arcivescovo melchita emerito di Akka mons. Elias Chacour, altri che a Gerusalemme Est fanno capo a padre Ibrahim Faltas, della Custodia di Terra Santa, e giovani dall’Egitto, dalla Macedonia, dall’Italia e dalla Polonia.

Con quali sentimenti vive questi giorni in Italia?
Noi siamo partiti da Tel Aviv con le sirene che suonavano ogni 20 minuti, con il cuore lacerato perché da una parte non volevamo lasciare le nostre famiglie e dall’altra non volevamo rinunciare a portare il messaggio di speranza, di riconciliazione, di ascolto che costituisce la nostra ragione di vita e di lavoro. Abbiamo lasciato il Paese col cuore in gola per il male che succede a noi, il male che succede di fare agli altri se ti sparano e devi per forza difenderti.

Che ne pensa dell’operazione in corso a Gaza?
Purtroppo negli ultimi 20 anni è stata fatta una propaganda mirata alla demonizzazione di Israele e alla vittimizzazione dei palestinesi: ormai nell’opinione pubblica mondiale gli israeliani sono i cattivi e i palestinesi sono i buoni. Non è così. Io credo che i palestinesi siano ostaggio di un’organizzazione terroristica che si chiama Hamas che ha sfruttato l’umanità di tutti, dei propri cittadini e del resto del mondo, per demonizzare Israele senza lavorare per la pace. Hamas ha sfruttato fino al midollo la propria gente, usando i fondi che riceveva non per creare sviluppo a Gaza ma preparandosi per una guerra.

Come possono creare sviluppo visto che la Striscia è una prigione a cielo aperto dalla quale nessuno può uscire da molti anni?
L’occupazione israeliana è finita nel 2005: si sa che Israele chiude le frontiere a chi cerca di organizzare attentati come quelli che abbiamo subito per anni nella Seconda intifada. Chi davvero impedisce la libertà di movimento è l’Egitto: per comunanza di lingua e di cultura loro potrebbero assorbire la popolazione di Gaza e farne un proseguimento dell’Egitto.

E i palestinesi che vivono sotto occupazione in Cisgiordania?
Posso solo dirle che anche in Cisgiordania Hamas ha strumentalizzato i palestinesi creando disagio e impedendo uno sviluppo che avrebbe dato grande sollievo.

Alla luce di tutto il lavoro compiuto in questi anni, pensa che tra israeliani e palestinesi possa esserci pace senza giustizia?
Sono un’educatrice e non sono abbastanza preparata per dare risposte su argomenti politici. Personalmente ripudio la violenza e da tredici anni mi batto per affermare un modello di ascolto, di dialogo, di amicizia. Ritengo che l’incontro, lo sforzo di comprensione dell’altro, il perdono siano l’unica strada per costruire un futuro diverso. Siamo fermamente contrari all’estremismo da qualunque parte esso venga: è chiaro che la violenza chiama altra violenza ed è questa la spirale che va fermata. Il nostro sforzo è quello di cercare di mettere insieme ragazzi di zone in conflitto per creare un mondo diverso in cui si possa essere lucidi, saggi, autonomi nel giudizio e non influenzati dalla propaganda che riceviamo.

Che atmosfera si respira al Campus?
È bellissimo vedere questi giovani parlare di identità, di dialogo, di anelito per la pace, ma soprattutto – nell’edizione di quest’anno – del tema del sogno: il sogno di un futuro, del quale mai come in questo momento avvertiamo il bisogno. La mia gioia più grande è vedere i ragazzi entusiasti di far parte di questo progetto e di lanciare un messaggio positivo: lo vivono come una missione ed è qualcosa che allarga il cuore. Anche se solo 20 di loro parteciperanno allo spettacolo di domani sera a Siena, sanno di rappresentare anche gli altri in un messaggio universale, rivolto al mondo intero. Non ci stanchiamo di ripetere: nella guerra soffriamo tutti, perdiamo tutti, gli uni e gli altri, dobbiamo lavorare perché quello che sta avvenendo finisca al più presto.

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