Neppure il tempo di gioire per l’incontro di preghiera in Vaticano, voluto da Papa Francesco a chiusura del suo pellegrinaggio di preghiera in Giordania, Palestina e Israele, che la nascita a Ramallah di un governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas (fazione considerata terrorista da Israele) ha rinfocolato la tensione. La vicenda del rapimento a metà giugno di tre adolescenti israeliani nella zona di Gush Etzion, a sud-ovest di Gerusalemme, ha poi innalzato l’allerta a livelli di guardia. I palestinesi si dicono estranei alla sparizione, ma Israele sostiene di avere prove di un coinvolgimento di Hamas.
Il caso dei tre ragazzi (Gilad Sha’er, Naftali Frankel e Eyal Yifrah), la cui sorte è ancora misteriosa al momento di andare in stampa, è emblematico del clima che si respira oggi in Terra Santa. E del rischio che, da un momento all’altro, possa riaccendersi il fuoco dell’intifada. Le incursioni e i rastrellamenti israeliani nei Territori, le centinaia di arresti e perquisizioni (e purtroppo anche le vittime: ad oggi cinque) finiscono per esacerbare la popolazione civile. La necessità di assicurare alla giustizia i criminali responsabili del rapimento si scontra con la sproporzione di un’azione che assume i contorni di una punizione collettiva.
«Un mese fa eravamo a festeggiare l’arrivo di Papa Francesco in Terra Santa – ha dichiarato il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal – ed oggi siamo a chiedere la fine della violenza che sta scuotendo di nuovo questa nostra Terra Santa. È un calvario. C’è troppa arroganza, troppa ingiustizia, troppa violenza. Non disperdiamo i messaggi di pace che Papa Francesco ci ha lasciato. Preghiamo perché tutto finisca per il meglio».