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Per una pace tra uguali e fratelli, l’invocazione a più voci in Vaticano

Carlo Giorgi
9 giugno 2014
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Per una pace tra uguali e fratelli, l’invocazione a più voci in Vaticano
Papa Francesco prende la parola durante l'Invocazione di pace nei Giardini vaticani. Alla sua destra il presidente Shimon Peres, alla sinistra il presidente Mahmoud Abbas (foto: Haim Zach/Gpo/Flash90)

«Siamo fratelli, figli di uno stesso Padre: solo se lo riconosciamo potrà arrivare la pace». Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa si conclude in Vaticano, domenica 8 giugno, con queste parole. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas e quello israeliano Shimon Peres hanno accolto l'invito e sono qui a pregare con lui per la pace. È presente anche il patriarca ecumenico Bartolomeo I.


«Siamo fratelli, figli di uno stesso Padre: solo se lo riconosciamo potrà arrivare la pace». Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa si conclude in Vaticano, domenica 8 giugno, festa di Pentecoste, con queste parole che suonano come un lascito universale per i credenti di tutti i tempi. Solo due settimane prima, il 25 maggio, il Papa aveva invitato «nella sua casa» il presidente palestinese Mahmoud Abbas e quello israeliano Shimon Peres, a pregare insieme per la pace. L’invito era stato accolto da entrambi e il Papa aveva incaricato il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, di curare i dettagli organizzativi dell’incontro di preghiera.

Così ieri, poco prima delle 19, Papa Francesco è giunto assieme ai suoi ospiti in uno splendido angolo dei Giardini vaticani: un prato triangolare, delimitato da due alte siepi. Nessun simbolo religioso intorno e, come tetto, solo il cielo: il «santuario» ideale per accogliere credenti di religioni diverse e alzare insieme lo sguardo a Dio. È quel che vuole il Pontefice: «Dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo – afferma nel suo discorso, pochi minuti dopo -, e riconoscerci figli di un solo Padre». Il clima tra i presenti è incoraggiante: a Santa Marta, la «casa» del Papa, Peres ed Abbas incontrandosi pochi minuti prima, si sono abbracciati di slancio.

Sul prato un piccolo palco accoglie il Papa e i due presidenti Peres e Abbas, rispettivamente alla destra e alla sinistra di Francesco. Lungo le due siepi si dispongono le delegazioni dei credenti: alla destra del Papa la delegazione israeliana (composta da rabbini e anche un religioso druso) e la delegazione palestinese (composta da imam e dottori musulmani). Alla sinistra del Papa si trova invece la delegazione cristiana, guidata dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I che è qui «come testimonianza del cammino che come cristiani stiamo compiendo verso la piena unità», afferma Francesco.

La cerimonia è semplice e intensa. Intervengono in ordine cronologico prima gli ebrei, poi i cristiani, infine i musulmani, per elevare a Dio una preghiera di ringraziamento, una richiesta di perdono per i peccati commessi e, infine, un’invocazione per la ottenere la pace. Da parte cristiana il primo a parlare è il patriarca ortodosso Bartolomeo I che legge la meravigliosa profezia di Isaia (65, 17-25), promessa di Pace e prosperità per Gerusalemme: «Ecco io creo nuovi cieli e nuova terra, non si ricorderà più del passato… farò di Gerusalemme una gioia…». La richiesta di perdono è affidata al patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal e al cardinale Peter Tukson, presidente del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace, che leggono una preghiera di san Giovanni Paolo II. Mentre l’invocazione per la pace è recitata da una donna, Margaret Kassam, araba cristiana di Haifa, attiva nel movimento dei Focolari, tra i principali organizzatori del Simposio internazionale ebraico cristiano che si è tenuto a Gerusalemme nel 2009 e protagonista del dialogo religioso in Terra Santa. Margaret legge significativamente la preghiera attribuita a san Francesco: «Dove c’è odio che io porti l’amore, dove c’è offesa che io porti il perdono…».

Le delegazioni ebraica e musulmana terminano i loro interventi con una preghiera cantata. Ed è la prima volta che si sente echeggiare in Vaticano il canto di un rabbino e l’invocazione di un imam. Questo incontro per la pace in Vaticano è un fatto mai visto. Ma è il Papa stesso a spiegarci perché è così necessario. «La storia ci insegna che le nostre forze non bastano – afferma il Pontefice nel suo intervento -. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre». Nel suo intervento Francesco insiste sulla fratellanza che unisce i credenti e sull’appartenenza alla comune famiglia umana, fatta di padri e figli: «Signori presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli – dice –: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti».

«Per fare la pace ci vuole coraggio – continua Francesco -, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo».

Papa Francesco ha poi recitato una preghiera per la pace che riportiamo integralmente:

Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica!

Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “Mai più la guerra!”; “Con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino. Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen.

Anche il presidente israeliano, che parla subito dopo il Papa, insiste sull’idea di famiglia comune: «Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali (…) Noi tutti siamo uguali davanti al Signore. Siamo tutti parte della famiglia umana. Senza la pace non siamo completi e dobbiamo ancora raggiungere la missione dell’umanità. (…) La pace non arriva facilmente. Dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi».

«O Signore, porta una pace completa e giusta al nostro Paese e alla regione – ha pregato infine il presidente Abbas – così che il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente e di tutto il mondo possano godere il frutto della pace, della stabilità e della convivenza. Noi desideriamo la pace per noi e per i nostri vicini. Cerchiamo prosperità e tranquillità per noi come per gli altri. O Signore, rispondi alle nostre preghiere e dà successo alle nostre iniziative perché tu sei il più giusto, il più misericordioso, Signore dei mondi».

Al termine dell’incontro il Papa e i suoi ospiti hanno piantato nel giardino, simbolicamente, una pianta d’ulivo. La giornata si è conclusa con alcuni colloqui privati.

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