La campagna Bds: quali ricadute?
Negli ultimi anni, a livello internazionale, è stata lanciata la campagna Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni (Bds), che ha tentato, usando le armi del boicottaggio economico, di condizionare le scelte politiche d’Israele. C’è però da chiedersi se le misure già adottate in tal senso abbiano o meno un reale impatto sull’economia israeliana. O se non siano soltanto iniziative simboliche.
Lungo la Valle del Giordano, nei pressi di Gerico, non è raro vedere gruppi di braccianti palestinesi (spesso adolescenti o poco più) che si recano al lavoro all’interno delle aziende agricole israeliane che sorgono in questa zona dei Territori palestinesi occupati, a ridosso del confine giordano.
Negli ultimi anni, a livello internazionale, è stata lanciata la campagna Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni (Bds), che ha tentato, usando le armi del boicottaggio economico, di condizionare le scelte politiche d’Israele. Queste campagne, che ovviamente sono decisamente osteggiate da Israele, hanno indubbiamente creato opinione e hanno fatto presa soprattutto presso alcune opinioni pubbliche e governi europei. La Francia ha emanato una direttiva volta a scoraggiare gli investimenti d’Oltralpe negli insediamenti israeliani della Cisgiordania, del Golan e di Gerusalemme Est. La Gran Bretagna ha fatto lo stesso, seguita proprio oggi anche dall’Italia. Pure la Spagna starebbe per muoversi in tal senso. Tra i propugnatori di questa forte «clausola sociale» anche i sindacati, che ritengono inaccettabile che si possano importare merci o fare investimenti se non cambierà la politica d’Israele verso i lavoratori palestinesi e, soprattutto, la politica degli insediamenti.
Dal canto suo l’Unione Europea ha pubblicato linee guida che pongono seri limiti ad alcuni prodotti israeliani provenienti dai Territori occupati, o alle aziende che hanno interessi in quelle aree. Una di queste norme è l’etichettatura dei prodotti, che deve contemplare informazioni sulla filiera. C’è poi il mancato riconoscimento delle certificazioni veterinarie israeliane per il pollame allevato negli insediamenti ed esportato nei Paesi dell’unione.
C’è però da chiedersi, alla luce di queste norme, se tutte queste misure abbiano o meno un reale impatto sull’economia israeliana. O se non siano piuttosto da annoverare come iniziative simboliche, non in grado di mutare gli equilibri sul campo.
Di questo avviso, per esempio, è Michael Omer-Man, giornalista e opinionista, già responsabile del portale online del quotidiano The Jerusalem Post. «Semplicemente alcuni prodotti provenienti dagli insediamenti costeranno di più, in virtù delle norme sull’etichettatura. Altri, come pollame e prodotti biologici, saranno esclusi dal mercato europeo, non avendo certificazioni riconosciute».
Che ci siano ricadute economiche significative per le imprese israeliane impegnate oltre la Linea Verde, è tutto da dimostrare. «Non credo che le campagne Bds arriveranno a mettere in crisi l’economia israeliana né riusciranno creare sul governo una pressione tale da costringerlo a cambiare la politica sugli insediamenti».
Un fatto però è evidente. E disturba non poco il governo israeliano. Le campagne Bds stanno modificando, più che l’economia israeliana, il rapporto tra alcuni settori dell’economia europea e Israele. Alcuni fondi pensionistici europei (ma anche americani) hanno dichiarato di voler ripensare i loro investimenti nelle società israeliane che operano negli insediamenti dei Territori occupati. Questa nuova percezione, se dovesse rafforzarsi, sarebbe certamente più impattante a livello economico, perché per l’economia israeliana non esiste un reale confine tra un lato e l’altro della Linea Verde. Soprattutto aziende che operano nel settore petrolifero, nell’elettricità, nei servizi idrici, nell’edilizia (ma anche le banche), hanno ramificazioni al di qua e al di là del muro di separazione.
Insomma, se il governo di Israele non sembra tanto preoccupato (se non a livello d’immagine) del fatto che aziende israeliane possano essere escluse dal commercio internazionale o che perdano quote di mercato all’estero a causa delle campagne Bds, sta accadendo invece che diverse aziende europee si ritirino dal Paese, perché avere legami con imprese locali che operano negli insediamenti si sta rivelando penalizzante nel mercato dell’Unione. Un esempio? Fonti di stampa dicono che la multinazionale Veolia, attiva nel settore dei servizi idrici, stia perdendo affari in Europa proprio per la sua attività nei Territori.
«Insomma – commenta ancora Omer-Man – forse le sanzioni e i boicottaggi non otterranno l’effetto di escludere l’economia israeliana dall’Europa, ma potrebbero escludere l’Europa da quella parte dell’economia israeliana compromessa con la politica degli insediamenti».
(Twitter: @caffulli)