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Kuwait, lavoratrici o schiave?

Terrasanta.net
23 giugno 2014
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In Kuwait è caccia agli «schiavi in fuga» attraverso i social media. Il sito Migrant-rights.org, animato da una rete di associazioni mediorientali che difendono i diritti dei lavoratori stranieri, ha denunciato giorni fa la nascita di una pagina inquietante su Instragram. Dopo che la notizia è stata riportata dalla stampa, la pagina risulta non più raggiungibile.


In Kuwait è caccia agli «schiavi in fuga» attraverso i social media. Il sito Migrant-rights.org, animato da una rete di associazioni mediorientali che difendono i diritti dei lavoratori stranieri, ha denunciato giorni fa la nascita di una pagina inquietante su Instragram. Il promotore invitava i datori di lavoro a «pubblicare la foto delle donne di servizio che hanno abbandonato il loro posto di lavoro» perché così «insieme, potremo eliminare questo fenomeno». Pubblicando la foto della colf «in fuga», si riteneva che un eventuale nuovo datore di lavoro che l’avesse incontrata per un colloquio, avrebbe potuto denunciarla rimandandola al legittimo «titolare».

In una settimana la pagina aveva ottenuto quasi 2.700 «mi piace» e ha incominciato a funzionare, ricevendo e pubblicando un’ottantina di foto di collaboratrici domestiche che hanno fatto perdere le loro tracce. Poi i mass media mediorientali hanno riferito la notizia ed ora non è più possibile trovare la pagina su Instagram.

Secondo Migrant Rights nei Paesi del Golfo i lavoratori a servizio nelle case – per lo più donne – sono circa un milione e 840 mila. Nel solo Kuwait i lavoratori domestici sarebbero 600 mila (su una popolazione di quasi tre milioni di persone). La legislazione in vigore in molti Paesi del Medio Oriente non garantisce questi lavoratori che, in caso di abusi (come mancati pagamenti, straordinari non retribuiti, violenze verbali e fisiche, indebita sottrazione del passaporto, promiscuità) non hanno modo di denunciare o di farsi valere. Tra di loro è superiore alla media la percentuale dei casi di depressione e suicidi. I lavoratori domestici che, non potendone più, decidono di scappare – in Kuwait come in diversi altri Paesi mediorientali – possono essere arrestati per «abbandono del posto di lavoro» e detenuti a tempo indeterminato o rimandati nel Paese d’origine. Secondo Migrant Rights almeno 10 mila lavoratori domestici hanno sporto denuncia contro datori di lavoro in Kuwait nel solo 2010. Esiste una vera e propria cultura dello sfruttamento difficile da smantellare. «Le agenzie di reclutamento di lavoratori domestici usano normalmente i verbi “acquistare” e “vendere” quando si riferiscono a lavoratori domestici – racconta un funzionario dell’Associazione degli avvocati del Kuwait, intervistato nel 2012 nell’ambito di una ricerca dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo) –. Stiamo tornando al Medio Evo. Se un datore di lavoro non è contento della sua domestica la riporta all’agenzia che gli rende 500 dollari. Poi magari l’agenzia la rivende ad un altro datore di lavoro a mille dollari…».

Secondo Migrant Rights la condizione dei lavoratori immigrati, in Kuwait, non sembra migliorare. Il fenomeno dei lavoratori stranieri privi di documenti regolari nel Paese è molto comune. Questo consente ai datori di lavoro di impiegare i migranti in nero, senza alcuna garanzia per il lavoratore e senza alcun rischio per il titolare. Per porre un limite alla presenza di immigrati irregolari, nel mese di marzo il ministero dell’Interno avrebbe rimandato nei Paesi d’origine circa 13 mila cittadini stranieri, tutti impegnati nel lavoro domestico.

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