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Islam e democrazia nel Novecento arabo

Manuela Borraccino
26 giugno 2014
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Islam e democrazia nel Novecento arabo

Questa Storia del Medio Oriente contemporaneo, di Massimo Campanini, costituisce forse l’unico tentativo in Italia di leggere il Novecento arabo (ma l’analisi include anche i popoli persiano, turco e curdo) alla luce del pensiero islamico e dell’impatto che le istituzioni e le idee euro-occidentali hanno sortito su di esso. Il libro offre una ricostruzione lucida e appassionata su come la riflessione sul rapporto fra Islam e democrazia abbia dominato con categorie proprie il pensiero politico arabo moderno.


Questa Storia del Medio Oriente contemporaneo, di Massimo Campanini, costituisce forse l’unico tentativo in Italia di leggere il Novecento arabo (ma l’analisi include anche i popoli persiano, turco e curdo) alla luce del pensiero islamico e dell’impatto che le istituzioni e le idee euro-occidentali hanno sortito su di esso. Docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, Campanini ricostruisce con una prosa chiara e avvincente come la storia politica del Nord Africa e Vicino Oriente non sia stata esente – pur nelle lotte per la fine del colonialismo, nei colpi di Stato, nelle dittature militari e nelle degenerazioni eversive dell’Islam violento – da una riflessione ininterrotta su tre categorie di pensiero che hanno costituito e costituiscono ancora oggi una sfida per la forma mentis mediorientale: il concetto di popolo-nazione; quello di libertà e democrazia; quello di secolarismo.

È dunque dalla «importazione della modernità» giunta con le truppe di Napoleone nel 1798 e dai movimenti di «rinnovamento dell’Islam» nel Diciannovesimo secolo che bisogna partire. «Il processo di adattamento alla modernità – rimarca lo studioso – di fatto non è ancora terminato, oltre due secoli dopo l’atto simbolico della spedizione in Egitto, ed anzi è stato coartato, deviato o almeno rallentato da molteplici fattori» che costituiscono la trama di questo saggio che unisce alla profondità storica una serie di giudizi lucidi e precisi sugli uomini che hanno calcato da protagonisti la scena mediorientale e sulle loro azioni.

Letta attraverso il prisma del pensiero islamico e di come si sia tradotto in dottrina politica, la genesi del Medio Oriente riserva non poche sorprese all’osservatore occidentale, vittima più o meno consapevole di uno sguardo fin troppo orientalista sul mondo arabo. Si scopre così che i tentativi di riforma avviati fra il 1839 e il 1869 con le Tanzimat (o leggi benefiche), pur producendo effetti inferiori alle attese, sono stati una prova della vitalità dell’Impero Ottomano e non della sua agonia. È un luogo comune, secondo lo storico, anche affermare la mancata separazione fra fede e Stato nell’Islam, visto che a partire dal 1876 «tutta l’esperienza politica nuova e modernizzatrice del Novecento, almeno fino agli anni Settanta, avvenne nel segno della secolarizzazione e in alcuni casi addirittura della laicità».

Tra le pagine più illuminanti figurano quelle dedicate ad alcuni fra i protagonisti del Risorgimento islamico (la Nahda), come la fondatrice del femminismo nel mondo arabo Huda Sha’rawi (1879-1947), il rettore dell’Università al Azhar ed esponente dei liberali Ahmad Lufti al-Sayyid (1872-1963), il cristiano libanese Farah Antun (1874-1922) o il copto Salama Musa (1887-1958). Nomi poco noti in Occidente, ma che dimostrano come fosse diffusa fin dall’Ottocento la preoccupazione per la «mancanza di tre cose nel mondo arabo: scienza, giustizia, libertà» nelle parole del filosofo Shibli Shumayyil (1850-1917). E ancora: le analisi sulla nascita dei Fratelli musulmani con Hasan al Banna nel 1928, quattro anni dopo l’abolizione del Califfato da parte di Mustafa Kemal Ataturk, e le crisi economiche che accompagnarono la genesi del radicalismo islamico negli anni Settanta, fino alle degenerazioni violente ed eversive alle quali assistiamo oggi.

Certo è che le atrocità che scuotono la sponda sud-orientale del Mediterraneo non possono non farci interrogare sulle origini del caos: la tragedia palestinese, il cruento ingresso dell’Iraq e della Libia tra gli «Stati falliti», l’assassinio della Siria, il ritorno dei militari in Egitto, la lotta di formazioni legate ad Al Qaeda per il controllo sul territorio e sui pozzi di petrolio lasciano intravvedere come diversi attori stiano tentando di ridisegnare i confini tracciati a tavolino negli accordi segreti Sykes-Picot del 1916, «cinico tradimento» delle promesse fatte agli arabi e radice di molte disgrazie del Medio Oriente, anche se non si può ascrivere la responsabilità dell’oggi solo all’ipoteca sul futuro posta dalle potenze coloniali con la creazione artificiale degli Stati dell’area. Lo dimostrano l’appassionante racconto degli eventi del 1948, dell’anno spartiacque del 1967, della Rivoluzione khomeinista del 1979, dell’abisso della guerra in Libano, delle intifada, fino all’attacco Usa del 2003 in Iraq e alla «transizione incompiuta» dalle dittature avviata nel 2011.

Una ricostruzione lucida e appassionata diretta non solo agli addetti ai lavori su come la riflessione sul rapporto fra Islam e democrazia, uno dei nodi cruciali del nostro tempo, abbia dominato con categorie proprie il pensiero politico arabo moderno. E come l’intero Medio Oriente stia cercando le strade per tradurlo in prassi, non necessariamente mutuate dall’esperienza euro-occidentale.


Massimo Campanini
Storia del Medio Oriente contemporaneo
il Mulino, Bologna 2014
pp. 300 – 23,00 euro

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