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Al Cairo libertà di stampa sotto processo

Terrasanta.net
26 giugno 2014
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Al Cairo libertà di stampa sotto processo
Poliziotti e giornalisti all'esterno del processo ai giornalisti di Al Jazeera il 23 giugno scorso.

Il «nuovo corso» egiziano, duro con la Fratellanza Musulmana, non si dimostra tenero neppure con la stampa: lo dimostra la condanna pronunciata lunedì scorso, 23 giugno, contro tre giornalisti di Al Jazeera accusati di «aver aiutato i Fratelli musulmani» e di «avere diffuso notizie false» in grado di «minacciare la sicurezza nazionale».


(c.g.) – Schiaffo alla libertà di stampa – e alla comunità internazionale – da parte del governo egiziano: lunedì scorso tre giornalisti di Al Jazeera sono stati condannati da un tribunale del Cairo con l’accusa di «aver aiutato i Fratelli musulmani» (considerati dalla legge egiziana, dallo scorso dicembre, alla stregua di un’organizzazione terroristica) e di «avere diffuso notizie false» in grado di «minacciare la sicurezza nazionale».

I tre di Al Jazeera – Peter Greste (australiano), Mohamed Fahmy (di nazionalità canadese ed egiziana) e Baher Mohamed, egiziano, furono arrestati il 29 dicembre scorso al Cairo. Solo pochi giorni prima, il 25 dicembre, i Fratelli Musulmani erano stati dichiarati dal governo egiziano una «organizzazione terroristica». Per questo, avendo intervistato esponenti della Fratellanza, i tre vennero automaticamente accusati di favoreggiamento dell’organizzazione terroristica. Inoltre i loro reportage, dedicati alle proteste dei sostenitori dell’ex presidente Mohammed Morsi (deposto dai militari nel mese di giugno) e alla repressione delle forze dell’ordine, vennero considerati tendenziosi e fuorvianti: un racconto «falso» della realtà, in grado di «minacciare la sicurezza nazionale».

Tra le prove prodotte dall’accusa – secondo Al Jazeera – ve ne sarebbero alcune palesemente insensate: come una registrazione della Bbc (che gli imputati non possono aver realizzato, lavorando per un’altra emittente), un servizio di Al Jazeera girato in un periodo in cui i tre accusati non si trovavano in Egitto; addirittura un video del cantante australiano Gotye. Il direttore di Al Jazeera in lingua inglese ha dichiarato che il verdetto contro i suoi giornalisti  manca di «logica, sensatezza e ogni senso di giustizia».

Due dei giornalisti, Peter Greste e Mohamed Fahmy sono stati condannati a sette anni di prigione; mentre il terzo, Baher Mohamed, ne ha presi dieci (oltre a circa 500 euro di multa), sommando alla prima condanna anche una seconda, di tre anni, per detenzione illegale di munizioni. Secondo Al Jazeera però, Mohamed sarebbe stato trovato in possesso di un solo bossolo vuoto, che il giornalista avrebbe trovato per terra alla fine di una manifestazione.

L’esito del processo conferma la direzione preoccupante verso cui sta marciando l’Egitto del presidente Abdel Fatah al Sisi. Ovvero, quella di uno Stato che pur di mantenere l’ordine non esita a sacrificare il diritto di critica e – come in questo caso – la libertà di stampa.

La sentenza, oltre a parlare all’opinione pubblica egiziana, è un messaggio rivolto anche all’esterno dello Stato. Domenica, infatti, meno di ventiquattro ore prima del verdetto, il segretario di Stato americano John Kerry era atterrato a sorpresa in Egitto anche per perorare la causa della libertà di stampa. «Ho sottolineato il nostro saldo sostegno al rafforzamento dei diritti e delle libertà universali per tutti gli egiziani, comprese la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica», ha affermato Kerry nel corso di una conferenza stampa al Cairo. «Abbiamo anche discusso del ruolo essenziale che riveste una vivace società civile, la libertà di stampa, il ruolo della legge e del sistema giudiziario in una democrazia», ha detto riferendosi ai suoi colloqui con i nuovi leader egiziani, il presidente Abdel Fatah al Sisi compreso. La severità dimostrata dalla corte il giorno dopo, sembra una risposta eloquente anche alle parole di Kerry. Ed il presidente al Sisi ha confermato che non interferirà con le decisioni del tribunale.

Il giro di vite del governo in queste settimane, oltre ai giornalisti ha colpito anche la società civile egiziana. L’11 giugno il blogger egiziano Alaa Abdel Fattah è stato condannato in contumacia assieme ad altre 24 persone a 15 anni di prigione, per aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata. L’aspetto ridicolo della sentenza – secondo un commento del blog egiziano indipendente Egyptian Chronicles – è il fatto che Alaa sia stato condannato in contumacia; infatti al momento della sentenza l’attivista si sarebbe trovato all’esterno del tribunale e avrebbe tentato di entrarvi ma non gli sarebbe stato permesso. Tra i co-imputati di Alaa ci sarebbe anche Wael Matawally, di professione informatico e con la doppia nazionalità egiziana ed italiana. Secondo il sito di informazione Middle East Monitor, la liberazione di Alaa Abdel Fattah sarebbe stata recentemente chiesta anche da una lettera indirizzata al presidente statunitense Barack Obama e al suo segretario di Stato, John Kerry, e firmata da una cinquantina di professori universitari statunitensi, molti dei quali affiliati alla Middle East Studies Association.

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