La piccola comunità beduina di Samra, nel nord della Valle del Giordano, combatte una battaglia per la sopravvivenza che, aggiunta alla mancanza d’acqua corrente e di elettricità (e quindi al crollo della produzione agricola), sta facendo il vuoto: oggi a Samra resistono solo dieci famiglie. Determinate a dare ai propri bambini l'istruzione a cui hanno diritto.
(Samra, Valle del Giordano) – Il minibus non può andare oltre perché la strada sterrata è chiusa da grosse pietre che impediscono il passaggio. Scendiamo e ci avviamo a piedi verso la piccola comunità beduina di Samra, nel nord della Valle del Giordano. La primavera sta già tingendo di verde la terra e le colline che circondano il villaggio, chiuso tra due colonie israeliane e due basi militari, spesso teatro di esercitazioni dei soldati.
Una battaglia per la sopravvivenza che, aggiunta alla mancanza d’acqua corrente e di elettricità (e quindi al crollo della produzione agricola), sta svuotando la comunità: oggi a Samra resistono solo dieci famiglie. Le altre se ne sono andate. Vivono di pastorizia e agricoltura, ma vendere i propri prodotti è sempre più difficile a causa dei check-point militari, delle lunghe attese e degli alti costi per spostarsi verso le città di Gerico e Tubas.
«Al di là delle restrizioni, del pericolo rappresentato dalle basi militari e della mancanza delle risorse idriche, però, una delle ragioni principali per cui la comunità beduina sta lasciando Samra è la mancanza di una scuola». Sireen Sawafata ha poco meno di trent’anni, fa l’insegnante ed è una delle attiviste di Solidarietà per la Valle del Giordano (Jvs, l’acronimo inglese), organizzazione di base creata per sostenere le comunità palestinesi della Valle del Giordano. Oggi i bambini di Samra vanno a scuola a Tubas, a 20 chilometri di distanza dalle loro case, o a Ein el-Beda, a 23 chilometri: per loro tornare ogni giorno è impossibile e molti vivono fuori per tutta la settimana, ospitati da parenti o amici.
«Negli ultimi anni moltissime famiglie della zona, non solo di Samra, ma anche delle comunità vicine di Al Hadidiyye, Makhul e Al Maleh, si sono spostate per dare ai figli la possibilità di studiare», ci spiega Sireen. «Quando la nostra associazione li ha incontrati qualche tempo fa, ci hanno detto proprio questo: “Possiamo resistere a tutte le privazioni, ma abbiamo bisogno di istruzione”. Così abbiamo deciso di intervenire».
E l’intervento è qui davanti ai nostri occhi: una scuola di fango che può accogliere i circa 50 bambini delle quattro comunità beduine dell’area. Le mura sono state costruite, mancano finestre e rifiniture. «La scuola sarà pronta a giugno. Abbiamo utilizzato i mattoni di fango perché il costo per produrli è zero e per incoraggiare le comunità palestinesi a rischio di trasferimento ad utilizzarli per costruire le loro case».
I lavori per la scuola sono durati molto poco: in due settimane la struttura è stata terminata. Non senza problemi: i soldati israeliani delle vicine basi militari hanno notato i lavori e hanno dichiarato l’area «zona militare chiusa». Quel giorno, il 20 marzo scorso, a Samra c’era un centinaio di attivisti pronti ad aiutare nella costruzione della piccola scuola. Dopo la diramazione dell’ordine militare, nessuno poteva né entrare né uscire dalla comunità. «Abbiamo deciso di organizzarci diversamente, di lavorare in piccoli gruppi, mentre il resto di noi copriva la visuale ai soldati fingendo di non lavorare. Ci davamo il cambio e l’esercito non si è accorto che nel frattempo la scuola cresceva. In un giorno l’abbiamo portata a termine. È stato un successo».
Ora la comunità di Samra, in attesa di terminare le rifiniture, spera di ricevere dall’Autorità Palestinese il riconoscimento dell’istituto. Ciò significherebbe l’invio di insegnanti governativi e l’accesso ai programmi scolastici nazionali. La stessa cosa che il Jvs ha fatto in altre comunità palestinesi della Valle del Giordano, come Fasayel e Al Jiftlik: prima ha costruito le scuole con i mattoni di fango, poi ha ottenuto il riconoscimento del governo, evitando in questo modo anche il rischio di demolizione da parte delle autorità israeliane, che qui dettano legge.
«Nella Valle del Giordano, ci sono solo 16 scuole, di cui tre appartenenti alle Nazioni Unite – continua Sireen –. Sono molto poche e non coprono tutti i bisogni. Solo tre di queste sono costruite in Area C (territorio sottoposto al pieno controllo civile e militare israeliano, dove è impossibile per i palestinesi costruire strutture permanenti – ndr). Il principale ostacolo al diritto all’educazione qui è proprio l’occupazione militare israeliana che ci impedisce di costruire scuole, visto che il 95 per cento della Valle del Giordano è in Area C o all’interno di zone militari di addestramento. Sulle tre scuole costruite in Area C pesano ordini di demolizione».
«Il nostro obiettivo è promuovere il diritto all’istruzione, dare ai nostri figli l’opportunità di studiare. Loro vogliono un’educazione, ecco perché le famiglie palestinesi lasciano le comunità prive di una scuola. Prima dell’occupazione militare, nel 1967, erano 300 mila le persone residenti qui. Oggi siamo solo 56 mila. Siamo certi che costruendo scuole la gente tornerà a vivere qui: oggi i bambini devono camminare ore e ore per raggiungere gli istituti più vicini e attraversare check-point militari o colonie israeliane».
«Io sono un’insegnante, per me è fondamentale», conclude Sireen, mentre ci allontaniamo dalla scuola di Samra. «Non dimenticherò mai uno studente, si chiamava Ayman, aveva 13 anni. Un giorno dei coloni gli uccisero il cavallo proprio davanti ai suoi occhi, era un regalo di suo padre. Mi disse che la morte del cavallo lo aveva reso molto triste, ma anche umano. Mi disse: “Ho capito come si fa ad essere umani e che devo combattere per i miei diritti”. Quel giorno lui era l’insegnante e io lo studente».