Papa Francesco è in volo per Amman, capitale della Giordania. Non sarà un viaggio facile e Bergoglio lo sa. Lo attendono una terra lacerata e popoli incapaci di comprendersi. Anche per questo conviene accompagnare il Papa pregando, come fanno i cristiani di Terra Santa che si sono preparati a questo momento anche con una speciale nove giorni di preghiera.
Papa Francesco è in volo per Amman, capitale della Giordania. Questa mattina il suo aereo ha lasciato l’aeroporto di Fiumicino con qualche minuto di ritardo, poco dopo le 8,15, orario previsto per la partenza.
Non sarà un viaggio facile e Bergoglio lo sa. Lo attendono una terra lacerata e popoli incapaci di comprendersi. Anche per questo conviene accompagnare il Papa pregando, come del resto fanno gli stessi cristiani di Terra Santa che si sono preparati a questo momento anche con una speciale nove giorni di preghiera.
Mercoledì scorso, al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro, il Pontefice ha evocato l’imminente viaggio con queste parole: «Sempre sabato prossimo comincerò il viaggio in Terra Santa, la terra di Gesù. Sarà un viaggio strettamente religioso. Primo motivo per incontrare il mio fratello Bartolomeo I, nella ricorrenza del 50° anniversario dell’incontro di Paolo VI con Atenagora I. Pietro e Andrea si incontreranno un’altra volta e questo è molto bello. Secondo motivo è pregare per la pace in quella terra che soffre tanto. Vi chiedo di pregare per questo viaggio».
Il Papa stesso ieri mattina, quasi con le valige in mano, si è recato in forma privata alla basilica di Santa Maria Maggiore – come ha fatto altre sette volte – per affidare questo rapido pellegrinaggio all’intercessione della Madonna.
Giovedì, in una breve intervista al Centro Televisivo Vaticano, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha detto che il viaggio «sarà un momento di gioia e di conforto per tutti i cristiani che vivono in Terra Santa, e il Papa credo voglia sottolineare, nell’incontro diretto con loro, due cose: che questi cristiani sono pietre vive e che senza la loro presenza la Terra Santa e gli stessi Luoghi Santi rischiano di trasformarsi in musei, come diciamo spesso».
Certamente i cristiani locali, in gran parte palestinesi, chiedono a Papa Bergoglio di ascoltare anche le loro doglianze e sofferenze, che sono quelle di un popolo che, per molte ragioni, si sente schiacciato e senza prospettive. In Israele al Papa verrà offerto il punto di vista degli ebrei, fieri del loro Paese e pronti a difenderlo ad ogni costo.
La Santa Sede, come ha ribadito il card. Parolin, ribadirà a tutti la sua posizione: «Da una parte, il diritto di Israele di esistere e di godere di pace e di sicurezza all’interno di confini internazionalmente riconosciuti; il diritto del popolo palestinese, di avere una patria, sovrana e indipendente, il diritto di spostarsi liberamente, il diritto di vivere in dignità. E poi, il riconoscimento del carattere sacro e universale della città di Gerusalemme, della sua eredità culturale e religiosa: quindi, come luogo di pellegrinaggio dei fedeli delle tre religioni monoteiste. Sono un po’ questi i punti sui quali il Papa insisterà anche questa volta, in linea con tutta la “politica” della Santa Sede per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese».
Papa Francesco – come Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI prima di lui – troverà il suo modo per dirlo, con parole e gesti.
Tutto il resto è nelle mani di Dio.