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Betlemme e Gerusalemme, due modi d’attendere il Papa

Giuseppe Caffulli, da Gerusalemme
22 maggio 2014
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Betlemme e Gerusalemme, due modi d’attendere il Papa
Striscione di benvenuto a Papa Francesco sui muri di un'università di Betlemme.

Le fibrillazioni per la visita di Papa Francesco in Terra Santa crescono via via che passano le ore e si avvicina l’arrivo del Pontefice. Se a Gerusalemme sembrano prevalere le preoccupazioni per le misure di sicurezza, a Betlemme, nei Territori Palestinesi, c'è la voglia di accogliere il Papa festosamente e condividere con lui la propria sofferenza.


Le fibrillazioni per la visita di Papa Francesco a Gerusalemme crescono mano a mano che passano le ore e si avvicina il momento dell’arrivo del Pontefice. Lo vedi da piccoli segnali: intensificazione dei controlli, maggiore attenzione da parte della polizia nei luoghi particolarmente caldi (come la Spianata delle Moschee e le zone limitrofe al Cenacolo). La paura, anche a seguito degli atti vandalici contro edifici cristiani messi a segno nelle scorse settimane, è che gruppi di facinorosi ebrei ultraortodossi possano pensare di inscenare qualche protesta capace di peggiorare l’immagine del Paese in un’occasione tanto importante. Per questa ragione, spiegano fonti della sicurezza israeliana, ci sarà la massima allerta. Almeno 8 mila agenti blinderanno la Città Santa, per scongiurare qualche rischio che sembra venire (stavolta) più dall’interno dell’ebraismo che non da altri settori fondamentalisti.

Ad agitare le acque di queste ultime settimane, le voci insistenti circa presunti accordi del governo israeliano con la Santa Sede per il Cenacolo. Qualche giorno fa, l’11 maggio, anche l’autorevole quotidiano The Jerusalem Post, su posizioni filo-governative, era intervenuto per chiudere la questione: «Un certo numero di leader spirituali ebrei, tra cui il rabbino capo di Rehovot Simcha Kook, e alcuni politici di destra hanno fatto affermazioni infondate secondo cui lo Stato di Israele sarebbe sul punto di firmare un accordo con il Vaticano per cedere il controllo sull’intero edificio. Si tratta di affermazioni che sembrano fatte apposta per alimentare animosità contro i cristiani andando a pescare nel profondo bacino di diffidenza da parte ebraica dovuta ai secoli di persecuzione cristiana contro gli ebrei. Rappresentanti del ministero degli Esteri e del Gran Rabbinato hanno tentato invano di calmare gli animi dichiarando pubblicamente che lo Stato non ha alcuna intenzione di rinunciare al controllo sull’area, che oggetto di negoziato sono soltanto i diritti di utilizzo della Sala dell’Ultima Cena. E che in ogni caso un accordo non è ancora in vista».

Dato che «fondamentalisti ebrei di diverse estrazioni (come ultra-ortodossi e sionisti religiosi) hanno incrementato la loro presenza e lo svolgimento di eventi nei pressi del Monte Sion», i timori di disordini e proteste sono tutt’altro che infondati. Al punto che la macchina della sicurezza non sta tralasciando nulla perché lo svolgimento della visita papale avvenga senza sorprese di sorta. Anche limitando (o impedendo) fin dalla serata di sabato 24 l’accesso alla città vecchia.

Se Gerusalemme vive queste ore in attesa del Papa apparentemente senza un grande coinvolgimento emotivo (a parte il gran pavese nei quartieri cristiani, la municipalità ha addobbato le strade che il Papa percorrerà in maniera decisamente sobria), tutt’altra aria si respira a Betlemme, dove fervono i preparativi per la messa solenne sulla piazza della Mangiatoia, in programma la mattina di domenica 25. Il Santo Padre, dopo gli incontri con le autorità politiche palestinesi e la celebrazione in piazza, dove sono attese almeno 10 mila persone, pranzerà presso la casa di accoglienza dei francescani (Casa Nova) con alcune famiglie palestinesi in condizioni di difficoltà (derivanti dal conflitto israelo-palestinese). Tra queste anche qualcuna coinvolta nella resistenza pacifica contro il tracciato del muro di separazione israeliano che sulla collina di Cremisan rischia di tagliare fuori da Betlemme terreni e famiglie. Nel pomeriggio Papa Francesco visiterà poi il Phoenix Centre, un centro di aggregazione sociale al servizio soprattutto dei palestinesi di Dheisheh, uno dei campi profughi sorti dopo il 1948, in seguito alla nascita dello Stato d’Israele. Il Phoenix Centre è presieduto da Mohammed Iahham, deputato del Fatah nel parlamento palestinese, che ci accoglie in un ufficio ricolmo di foto che lo ritraggono insieme ai Papi. «Ero un bambino quando vidi Paolo VI arrivare qui in Terra Santa. Poi ho accolto a Betlemme insieme agli altri esponenti palestinesi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il fatto che Francesco venga qui, tra la nostra gente, è già un fatto d’enorme importanza, una scelta che da sola dice molto più di tante prese di posizione».

Nel salone che accoglierà Bergoglio, sono state allestite delle gigantografie sulle pareti, che raccontano la storia dell’espulsione di 750 mila palestinesi dalle loro case e dalle loro terre. Immagini eloquenti, che danno subito il senso del contesto nel quale si terrà l’incontro. «Non ci saranno politici – si affretta a precisare Iahham –. Protagonisti saranno i bambini in età scolare, un centinaio. Incontreranno il Papa, gli canteranno una canzone in arabo e una in italiano. Poi alcuni di loro hanno preparato dei desideri da leggere e consegnare al Pontefice; pensieri che hanno elaborato insieme ai loro insegnanti. Fino all’ultimo terremo questi testi riservati, perché vogliamo davvero che il Papa possa ascoltare con stupore le parole dei nostri bambini».

Mentre all’esterno del centro gli operai stanno issando sulla facciata un altro gigantesco poster di benvenuto a Papa Francesco, Iahham ci congeda. Affissa ad una bacheca dell’ufficio, campeggiano alcuni disegni: bambini che giocano a pallone in un campo senza recinzioni, carrarmati senza cannone che tirano un aratro, barche a vela che solcano un mare azzurro, un girotondo di mani di diverso colore…

I sogni di libertà dei bambini di Dheisheh, periferia di Betlemme, probabilmente sono già scritti qui.

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