«È giunto il momento del coraggio della pace, della generosità e della creatività! Raddoppiate gli sforzi per trovare una soluzione! Che il Signore vi dia la saggezza e la forza per trasformare le spade in aratri!». Così Papa Francesco, a Betlemme, parla alle autorità palestinesi. Poi, diretto alla piazza della Mangiatoia, sosta in silenzio al Muro di separazione israeliano che circonda la città.
«Cari amici, è giunto il momento del coraggio della Pace, della generosità e della creatività! Raddoppiate gli sforzi per trovare una soluzione! Che il Signore vi dia la saggezza e la forza per trasformare le spade in aratri!». Spinge sull’acceleratore della pace Papa Francesco, giunto a Betlemme da pochi minuti, con un elicottero direttamente da Amman. Con queste parole si rivolge al presidente Mahmoud Abbas e alle autorità dello «Stato di Palestina».
E, per dare l’esempio, mette subito in atto il coraggio della creatività di cui ha appena parlato, compiendo un gesto che diventerà forse «il gesto» del viaggio del Papa in Palestina: Francesco, pronunciati i discorsi, lasciata la residenza ufficiale del presidente Abbas, si mette in viaggio verso la piazza della Mangiatoia per celebrare la messa. Proprio in corrispondenza del muro di separazione, però, fa fermare il corteo papale, scende dall’auto e si dirige verso il muro dove sosta in preghiera per quattro minuti. Un gesto pacifico, di una mitezza e di una forza straordinaria. Un gesto che, tra l’altro, era stato proposto al Papa, prima della sua partenza, da alcuni sacerdoti e laici italiani della Tavola Pellegrini Medio Oriente, tra cui il gesuita padre Paolo Bizzeti e don Nandino Capovilla di Pax Christi. «Le chiediamo sommessamente – recitava la lettera aperta -: a Betlemme esiga di vedere il muro di separazione che da 10 anni i palestinesi sono costretti ad attraversare, oltrepassando il check-point principale che ad oggi sembra un confine di Stato arbitrario e definito illegale nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia. Al check-point di Betlemme, scenda dall’auto per stare per qualche minuto con chi ogni giorno, per ore, subisce l’umiliazione delle impronte da mostrare: anziani, bambini, uomini e donne».
«Pace» e «coraggio» sono le due parole chiave del saluto che Francesco pronuncia qui, nella città di Gesù, «il Principe della Pace», di fronte alle autorità: le ripete rispettivamente 12 e 4 volte. E il suo discorso è un continuo invito a tutti – palestinesi ed israeliani – ad affrontare con decisione e realismo il conflitto che li oppone. Per risolvere finalmente una situazione che non è più sopportabile: «Il Medio Oriente da decenni vive le drammatiche conseguenze del protrarsi di un conflitto che ha prodotto tante ferite difficili da rimarginare – ha detto il Pontefice – e, anche quando fortunatamente non divampa la violenza, l’incertezza della situazione e l’incomprensione tra le parti producono insicurezza, diritti negati, isolamento ed esodo di intere comunità, divisioni, carenze e sofferenze di ogni tipo. Nel manifestare la mia vicinanza a quanti soffrono maggiormente le conseguenze di tale conflitto, vorrei dire dal profondo del mio cuore – ha vibrato il Pontefice – che è ora di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti. Si raddoppino dunque gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza. È giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti».
Già in questi primi minuti della sua permanenza di Palestina, Papa Francesco indica con le parole e con i gesti la strada da seguire per raggiungere la pace. Oltre alla sorpresa della sosta al muro di separazione, di cui si è detto, non sfugge la scelta del Papa di usare un elicottero per giungere a Betlemme: significa arrivare in Palestina direttamente dalla Giordania, senza passare dalla frontiera israeliana. Ovvero, riconoscere alla Palestina la dignità di Stato autonomo dall’occupazione. «Auspico vivamente che si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere ad un vero accordo e che non ci si stanchi di perseguire la pace con determinazione e coerenza – continua il Papa -. La pace porterà con sé innumerevoli benefici per i popoli di questa regione e per il mondo intero. Occorre dunque incamminarsi risolutamente verso di essa, anche rinunciando ognuno a qualche cosa».
Per la pace, sembra dire però il Papa, ci vuole il coraggio di chi lascia tutto, il coraggio dell’esodo biblico: «Auguro ai popoli palestinese e israeliano e alle rispettive autorità di intraprendere questo felice esodo verso la pace con quel coraggio e quella fermezza necessari per ogni esodo. La pace nella sicurezza e la mutua fiducia diverranno il quadro di riferimento stabile per affrontare e risolvere gli altri problemi e offrire così un’occasione di equilibrato sviluppo, tale da diventare modello per altre aree di crisi».
Il Papa, come aveva già fatto ad Amman, è tornato inoltre a parlare del diritto alla libertà religiosa. Fondamento della pace e troppo spesso dimenticato, soprattutto in alcuni contesti islamici, a danno dei cristiani del Medio Oriente.