Dei graffiti che offendono la fede cristiana, insieme ad altri che insultano gli Stati Uniti d’America, sono stati tracciati ieri con uno spray nero sul muro di cinta del monastero cattolico di Deir Rafat, pochi chilometri a ovest di Gerusalemme, in territorio israeliano. Il vandalismo sarebbe ancora una volta da attribuire ai coloni estremisti.
(Gerusalemme) – Dei graffiti che offendono la fede cristiana, insieme ad altri che insultano gli Stati Uniti d’America, sono stati tracciati ieri con uno spray nero sul muro di cinta del monastero cattolico di Deir Rafat, pochi chilometri a ovest di Gerusalemme.
Intorno all’una e trenta della notte tra il 31 marzo e il primo aprile, il santuario dedicato a Nostra Signora di Palestina è stato vandalizzato nel corso di uno degli attacchi della campagna «Il prezzo da pagare». Questo è quanto ritiene la polizia. Le indagini sono in corso.
Le due iscrizioni comparse sui muri del complesso monastico contengono messaggi ben distinti. Agli insulti blasfemi nei confronti di Gesù Cristo, s’è aggiunta la scritta «America = Germania nazista», da mettere forse in relazione con l’arrivo del segretario di Stato americano John Kerry, tornato nei giorni scorsi a Gerusalemme per discutere (con i leader politici israeliani e palestinesi) il rilancio dei negoziati di pace. Oltre ai graffiti, com’è consuetudine ormai, i vandali hanno squarciato le gomme di tre vetture e di un camion parcheggiati nelle vicinanze.
Nel pomeriggio di ieri il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, si è recato a Deir Rafat per constatare personalmente i danni e assicurare il suo sostegno ai tre religiosi Servi di Maria e alle dodici monache claustrali della Famiglia monastica di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine Maria e di San Bruno, che animano il santuario.
«Ancora una volta – ha detto mons. Twal – condanniamo con fermezza questi atti. È un peccato che simili fatti avvengano a due mesi dall’arrivo del Papa. Così non si crea un’atmosfera di pace e si offre una cattiva immagine della situazione».
Nel recinto del monastero risiedono da oltre trent’anni anche due famiglie arabe. Rania, una giovane donna sulla trentina, racconta: «Attraverso le telecamere di sorveglianza ci siamo accorti che c’erano degli uomini mascherati, ma quando siamo usciti erano già scappati ed era inutile pensare di inseguirli». «È catastrofico – prosegue -. Abitiamo qui da tanti anni e non era mai successo nulla di simile. Ora abbiamo paura, soprattutto per i nostri bambini. Spero che la polizia arresti questa gente».
Gli attacchi denominati Tag Mehir in ebraico («Il prezzo da pagare») sono azioni di disturbo orchestrate da gruppi di coloni israeliani contro i palestinesi (ma anche a danno di luoghi di culto e proprietà cristiane, musulmane ed ebraiche). Sono concepiti come rappresaglie nei confronti di tutto ciò che intralcia il movimento di colonizzazione israeliana in Cisgiordania.
Il più delle volte le aggressioni prendono di mira i villaggi palestinesi e le loro proprietà, ad esempio con la distruzione di piante d’ulivo, il lancio di pietre contro le abitazioni, i vandalismi contri i cimiteri, gli incendi ecc. Occasionalmente, il movimento ha attaccato anche beni appartenenti all’esercito israeliano.
Gli attacchi alle proprietà cristiane sono un fenomeno piuttosto recente, andato intensificandosi a partire dal 2012. Nell’ultimo biennio gli episodi del genere censiti sono stati una quindicina.
Padre Roch Boulanger, uno dei Servi di Maria che risiedono a Deir Rafat, assicura che la comunità rimane «calma» davanti a questo attacco e si rammarica che i vandali «non comprendano il messaggio di pace del Cristo».
Il santuario sorge 35 chilometri a ovest di Gerusalemme, nei pressi della cittadina di Beit Jimal. Il santuario mariano è stato costruito nel 1927 per volere del patriarca latino dell’epoca (mons. Luigi Barlassina – ndr) che volle istituire la festa della Beata Vergine Maria regina di Palestina, celebrata ogni anno in ottobre.