Da sabato 15 febbraio il Libano ha un nuovo governo. Ci sono voluti 330 giorni perché le due principali fazioni politiche rivali giungessero a un accordo. Da quasi tre anni gli sciiti del movimento Hezbollah e i loro alleati non formavano un governo con i loro principali antagonisti della Coalizione 14 marzo, filo-occidentale e favorevole ai ribelli siriani.
(Gerusalemme/m.m.l.v.) – Da sabato 15 febbraio il Libano ha un nuovo governo. Ci sono voluti 330 giorni perché le due principali fazioni politiche rivali giungessero a un accordo. Da quasi tre anni gli sciiti del movimento Hezbollah e i loro alleati riuniti nella Coalizione 8 marzo, vicina all’Iran e al regime siriano del presidente Bashar al-Assad, non formavano un governo con i loro principali antagonisti della Coalizione 14 marzo, filo-occidentale e favorevole ai ribelli siriani.
L’imminenza delle elezioni presidenziali, previste per il prossimo maggio, ha dato una spinta all’accordo. Riconosciuto che lo Stato libanese rischiava di implodere, i due campi avversi hanno accettato di scendere a patti per salvaguardare le istituzioni. Secondo l’uomo politico Antoine Haddad, fondatore del Movimento per il rinnovamento democratico libanese, «si trattava di scegliere tra la stabilizzazione e il lasciarsi sprofondare nell’abisso della guerra siriana». Anche l’allargamento della compagine governativa a una terza forza, neutrale e vicina al presidente della repubblica Michel Sleiman, ha facilitato il raggiungimento di un compromesso.
È già previsto, comunque, che il neonato governo abbia vita breve: il suo compito dovrebbe terminare con l’elezione del nuovo capo dello Stato verso fine maggio. Un esecutivo effimero, dunque, che però è l’espressione di un consenso regionale e internazionale. Un’iniziativa largamente sostenuta dalla comunità internazionale e che può contare sull’assistenza della Francia (potenza che esercitò il Mandato su Siria e Libano nella prima metà del secolo scorso). Da parte sua la Gran Bretagna ha promesso il suo sostegno totale in vista della pace e della prosperità del Libano e gli Stati Uniti hanno ribadito il loro impegno per la sovranità, la sicurezza e la stabilità del Paese dei cedri.
Alla guida del nuovo governo è stato designato Tammam Salam. Il primo ministro è un moderato di 68 anni, membro di uno dei più influenti clan politici del Paese: suo padre Saëb è stato sei volte capo del governo tra il 1952 e il 1973. Oggi al figlio è riuscita un’impresa nella quale altri hanno fallito: la formazione di un esecutivo di unità nazionale.
Il neo primo ministro ha commentato la notizia spiegando che «si tratta di un governo che ricompatta ed è la miglior formula possibile per permettere al Libano di far fronte alla sfide. Il cammino davanti a noi è denso d’insidie (…) Ma io tendo la mano a tutti». Salam ha poi assicurato di voler «operare per rafforzare la sicurezza, fronteggiare ogni forma di terrorismo e misurarsi con i problemi socio-economici del Paese». In cima alla lista delle emergenze – oltre al tema della sicurezza e dell’ordinato svolgimento dell’elezione presidenziale da parte del Parlamento – c’è la delicata questione dei profughi siriani che in Libano sono ormai più di 900 mila secondo le cifre ufficiali (le ong parlano di un milione e mezzo di persone), cioè un quarto della popolazione del Paese.
L’ex primo ministro Saad Hariri (della Coalizione 14 marzo) ha elogiato Tammam Salam per la sua pazienza e saggezza. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha affermato in un discorso televisivo che il suo partito ha «aperto la strada alla formazione del governo» e si ritiene soddisfatto del risultato raggiunto. Nel Paese convivono 18 diverse componenti religiose. Il nuovo governo dovrà quindi anche rispettare gli equilibri confessionali. In Libano l’attribuzione degli incarichi istituzionali, tanto nel governo quanto nel parlamento, tengono conto della parità tra cristiani e musulmani.