Gilad Shalit, il soldato israeliano catturato nel giugno 2006 alla frontiera di Gaza e liberato dopo cinque anni trascorsi nelle mani di Hamas torna, suo malgrado, alla ribalta. Accade per via di un film, finanziato in buona parte dal ministero della Cultura della Striscia di Gaza. Cinematografia genuina o propaganda?
(Gerusalemme/m.m.l.v.) – Gilad Shalit, il soldato israeliano catturato nel giugno 2006 alla frontiera di Gaza e liberato dopo cinque anni trascorsi nelle mani di Hamas torna, suo malgrado, alla ribalta. Accade per via di un film, finanziato in buona parte dal ministero della Cultura della Striscia di Gaza.
Realizzare e produrre un lungometraggio nella Striscia di Gaza è una vera sfida. Le pressioni dei Paesi vicini e le frequenti interruzioni dell’elettricità sono all’ordine del giorno e non facilitano il compito ai registi. Fattori che non hanno tuttavia scoraggiato Majed Jundiyeh, che ha deciso di realizzare una trilogia la cui prima parte s’intitola Losing Shalit. La pellicola vuol ripercorrere le tappe del rapimento del caporale israeliano Gilad Shalit da parte delle Brigate Ezzedine Al-Qassam di Hamas il 25 giugno 2006. La sua prigionia durò fino all’ottobre 2011, quando il giovane fu scambiato con mille detenuti palestinesi.
Hamas considera un trionfo quella vicenda, perché ha contribuito a rafforzare il suo potere nella Striscia di Gaza. Così il movimento finanzia con 95 mila dollari i costi di produzione del film, il cui ammontare complessivo dovrebbe aggirarsi intorno ai 120 mila dollari. Nonostante lo sponsor politico Jundiyeh professa «libertà e indipendenza» nel suo ruolo di regista. «Non sono un membro di Hamas – dice –, ma semplicemente un palestinese fiero del suo popolo e della lotta nazionale. Ho deciso di lavorare con quanto è alla mia portata per dipingere al meglio quello che considero un capitolo molto importante della nostra vita», ha spiegato al quotidiano israeliano Haaretz.
Majed Jundiyeh ha 47 anni. Tra il 1980 e il 1990 ha studiato cinema in Germania. Tornato a Gaza nel 1996, ha lavorato a documentari e sceneggiati per la televisione palestinese. Nel 2009 ha realizzato il suo primo lungometraggio, scegliendo come tema la vita di Emad Akel, comandante dell’ala militare di Hamas.
Jundiyeh lavora alla creazione di una «industria cinematografica della resistenza» a Gaza, con l’intento di riflettere sulla storia della Palestina ricorrendo ad attori palestinesi. Per il suo Losing Shalit ha scelto interpreti non professionisti. Per Mahmoud Karira, che impersona Gilad ma non parla ebraico, alcune parti della sceneggiatura hanno richiesto ore e ore di studio della lingua.
Se Losing Shalit è solo il secondo lungometraggio prodotto a Gaza dal 2009, la popolazione della Striscia ha familiarità con le telecamere. A fianco delle opere propagandistiche, vengono puntualmente realizzati videoclip prodotti da registi che non lesinano l’autoironia.
Ne è un esempio il collettivo di attori comici Itawesh che fa molto parlare di sé sulla Rete. Si è conquistato popolarità a livello internazionale con la parodia di uno spot pubblicitario nel quale Jean-Claude Van Damme vanta la perfezione del proprio corpo. Nella parodia realizzata a Gaza una voce fuori campo ironizza sulla situazione dei giovani della Striscia. «Abbiamo voluto ispirarci al clip di Van Damme, che è noto in tutto il mondo, per mandare un messaggio. Perché secondo noi, il mondo intero è responsabile della crisi di Gaza», ha spiegato all’Agenzia France Presse Mahmoud Zouiter, qui si esibisce in una spaccata tra due auto rimaste a secco e spinte dagli altri attori…
Qualche mese prima lo stesso tema della penuria di carburante ha ispirato un altro videoclip ispirato al tormentone del cantante sudcoreano Psy e intitolato Gangnam Gaza Style.
Quando Gaza fa cinema prova anche a divertire.