In Libano profughi iracheni allo sbaraglio
Nelle strane geografie delle guerre che squassano il mondo, capita anche che un evento ne cancelli un altro, o spinga in un vero e proprio limbo altre storie. È quanto sta accadendo ai profughi iracheni. La tragedia siriana, con l’enorme massa di vittime e di profughi che ha determinato, ha finito per mettere nell’ombra – a oltre 10 anni di distanza – le vittime di un’altra tragedia.
Nelle strane geografie delle guerre che squassano il mondo, capita anche che un evento ne cancelli un altro, o spinga in un vero e proprio limbo altre storie. È quanto sta accadendo ai profughi iracheni. La tragedia siriana, con l’enorme massa di vittime e di profughi che ha determinato, ha finito per mettere nell’ombra – a oltre 10 anni di distanza – le vittime di un’altra tragedia.
In Libano, per esempio, vivono ancora oggi almeno 6-7 mila rifugiati iracheni in attesa di reinsediamento in un paese terzo (erano 17 mila nel 2006). Di fronte al massiccio arrivo di siriani in fuga dalla guerra (quasi 900 mila), la loro situazione si è paradossalmente fatta più critica. Diminuiscono i sussidi, cresce la povertà e l’insicurezza sociale, aumenta il lavoro minorile, in un contesto dove ogni occasione è buona per sbarcare il lunario.
Alì avrà si e no 13 anni. Ha lasciato la scuola con il preciso scopo di dare una mano alla famiglia, che non sa più come procurarsi da vivere. Insieme ai genitori è fuggito da Baghdad nove anni fa. E da allora è in attesa di poter raggiungere un Paese del nord Europa, dove potrà studiare e progettare un futuro. Ma adesso scarica cassette della frutta in un mercato e aiuta durante la notte in un panificio, per poche lire (libanesi) al giorno.
La sua storia, secondo un rapporto di Caritas Libano, è purtroppo comune a molti ragazzi iracheni nel Paese. Gli autori dello studio, reso noto nelle scorse settimane, hanno intervistato quasi 100 minori iracheni di età compresa tra gli 11 e i 18 anni. Per la stragrande maggioranza, il lavoro illegale è motivato dalla necessità economica della famiglia (l’arrivo dei profughi siriani ha provocato un innalzamento vertiginoso degli affitti e dei beni di prima necessità) e dall’affievolirsi del sostegno diretto da parte degli organismi umanitari internazionali, dovuto soprattutto alla riduzione dei contributi da parte dei Paesi donatori. Il che significa anche meno borse di studio e meno assistenza sanitaria.
Secondo gli operatori della Caritas, si sta sviluppando anche una sorta di «guerra tra poveri» tra iracheni e siriani. Isabelle Saadeh, coordinatrice dei progetti in favore degli iracheni presso Caritas Libano, dice che molti iracheni percepiscono di aver ricevuto meno supporto rispetto ai loro omologhi siriani . «In sostanza – spiega – si sentono discriminati rispetto ai siriani, che ricevono oggi più attenzioni».
Per gli iracheni, come per i siriani, il Libano può essere sono un Paese di transito, perché Beitut non ha mai firmato la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951. I profughi impossibilitati a tornare nel proprio Paese d’origine possono solo restare in attesa di reinsediamento in un Paese terzo. Ma il processo richiede spesso tempi letteralmente biblici.
(Twitter: @caffulli)