Mohammed Yousry Salama, un uomo libero
Il 25 gennaio l’Egitto ha ricordato la rivoluzione del 2011 fra attentati, scontri, decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti. Piazze e strade erano divise in tre: i pro-militari radunati a Tahrir, il Fronte Rivoluzionario sparso nelle vie circostanti; gli islamisti pro-Morsi ovunque. Tre gruppi che reclamano la paternità della rivoluzione. Una paternità a cui però non hanno diritto esclusivo, perché appartiene a tutti gli egiziani. A tanti volti a noi poco noti, come quello di Mohammed Yousry Salama.
Il 25 gennaio l’Egitto ha ricordato la rivoluzione del 2011 fra attentati, scontri, decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti. Piazze e strade erano divise in tre: i pro-militari radunati a Tahrir, isola superprotetta dove si è svolta l’ennesima celebrazione del generale Abdel Fattah el-Sisi; il Fronte Rivoluzionario, formato da attivisti e movimenti di sinistra che rifiutano sia i militari sia i Fratelli Musulmani, sparsi nelle vie non lontano da Tahrir, a scontrarsi con le forze di sicurezza; gli islamisti pro-Morsi al Cairo, ad Alessandria e in altre città, a ingaggiare battaglia con esercito e polizia. Tre gruppi che ora reclamano tutti la paternità della rivoluzione, tre gruppi che hanno tutti le idee molto chiare su dove stia il giusto, tre minoranze che hanno progetti molto diversi per il proprio Paese.
Tuttavia, la rivoluzione del 2011 non è stata proprietà di nessuno di questi gruppi. Sicuramente non dei pro-militari, né dei Fratelli Musulmani, anche se questi ultimi hanno partecipato. Ma non è stata nemmeno proprietà di blogger e attivisti di sinistra, sebbene abbiano acceso la miccia e siano diventati il suo volto internazionalmente noto. La maggior parte dei «rivoluzionari», in realtà, è rimasta senza volto, non etichettabile, flessibile nelle opinioni, plurale nell’identità, interessata alla realtà piuttosto che alla lealtà a una parte politica o a un’ideologia. Senza questi «sconosciuti» la rivoluzione non sarebbe potuta accadere.
Uno di questi sconosciuti è Mohammed Yousry Salama. Nato nel 1974 ad Alessandria, figlio di un professore di lettere e di una poetessa, negli anni dell’adolescenza abbraccia le idee salafite. Studia odontoiatria, poi la lascia per dedicarsi agli studi islamici. S’interessa del pensiero di Ibn Taymiyya, teologo del Tredicesimo e Quattordicesimo secolo riscoperto dall’islamismo moderno, e lavora nel Centro manoscritti della Biblioteca di Alessandria. Mohammed è discepolo della Dawa Salafiyya, la maggior corrente salafita egiziana. Quando questa fonda il partito al-Nour, nel 2011, lui ne diventa il portavoce.
Fin qui il profilo di Mohammed sembra quello di un tipico, severo e inquietante salafita, invece nasconde sorprese che fanno saltare tutti gli stereotipi. Al contrario dei salafiti che si oppongono alla rivolta contro il governante, anche se tiranno, Mohammed partecipa alla rivoluzione del 2011 fin dall’inizio. Assieme ad alcuni musulmani liberali, copti e altri salafiti, fonda il gruppo Salafiyo Costa, cioè i Salafiti del Costa Cafè, dal luogo di ritrovo, anch’esso atipico per un salafita, di questi amici che vogliono lottare contro gli stereotipi religiosi. Proprio a causa delle differenze di opinione sulla rivoluzione e sui cristiani, Mohammed finisce per abbandonare il partito al-Nour. Sarà invece, ancora una volta sorprendentemente, fra i fondatori del Partito della Costituzione di Mohammed el-Baradei con il quale sente di avere affinità politica.
Come se ciò non bastasse, Mohammed diventa noto anche per l’amicizia con il comico Bassem Youssef, visto come il fumo negli occhi dal resto degli islamisti per le sue critiche salaci e il suo linguaggio a volte licenzioso. Mohammed, nel 2012, parteciperà addirittura a una puntata del suo programma satirico. Non finisce qui. La sorpresa si fa ancora più profonda ascoltando l’intervista che la moglie di Mohammed ha rilasciato nel 2013 a ONtv. Al contrario dello stereotipo salafita, la donna non indossa alcun tipo di velo, nemmeno il hijab. È bella, truccata, curata. Ammette che il suo non coprirsi i capelli causava qualche discussione con il marito, che per questo era anche attaccato dagli altri salafiti, ma Mohammed non le ha mai imposto nulla ed è rimasto con lei nonostante le differenze fra loro.
Purtroppo, Mohammed è morto per malattia nel 2013, ma la sua storia, oggi, nel terzo anniversario della rivoluzione del 2011, serve a ricordare lo spirito di quella rivolta. Mohammed era un salafita convinto che, tuttavia, rispettava le scelte altrui. Non pretendeva di imporre il proprio modo di vita al resto della società, né lo faceva con chi gli stava più vicino. Per lui, rispettare gli altri non significava evitarli e frequentare soltanto i propri simili. Si mischiava volentieri con chi aveva fede e idee diverse dalle sue, senza sentirsi minacciato o «contaminato» nella sua identità. Mohammed, fondamentalmente era un uomo libero.