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Mohammed, un sogno finito troppo presto

di Giuseppe Caffulli
9 gennaio 2014
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Mohamed Yousouf, come molti altri giovani etiopi, è vissuto inseguendo un sogno. A 17 anni ha lasciato il suo villaggio per tentare di emigrare in Arabia Saudita. Oggi è uno dei 137 mila immigrati etiopi rimpatriati forzatamente. Ma la realtà quotidiana in Etiopia è fatta di povertà endemica e disoccupazione. Così non è escluso che Mohammed e molti altri possano nuovamente pensare di emigrare, tentando altre rotte della disperazione. In fondo, non c’è che l’imbarazzo della scelta.


Mohamed Yousouf, come molti altri giovani etiopi, è vissuto inseguendo un sogno. A 17 anni ha lasciato il suo villaggio per tentare di emigrare in Arabia Saudita. Lunghe marce a piedi nel deserto Afar fino a Gibuti. E poi l’imbarco sulle «carrette del mare» che scafisti senza scrupoli usano per portare i clandestini sulle coste yemenite. Da qui ancora fame e sofferenze, prima di passare il confine con il regno saudita. Un sogno finito repentinamente, e in maniera tragica, a poco più di un anno dal periglioso ingresso nella terra dei Saud. Negli scorsi mesi ben 137 mila immigrati etiopi sono stati rimpatriati forzatamente dall’Arabia Saudita.

Mohammed, per inseguire il sogno di una vita migliore, ha speso tutti i risparmi della sua famiglia: 5 mila birr (circa 250 euro). Le donne etiopi hanno solitamente un canale d’ingresso privilegiato come collaboratrici domestiche. Ma per gli uomini l’unica possibilità restano le rotte della disperazione che attraversano il Mar Rosso.

Finalmente entrato in Arabia Saudita, dopo mesi di peripezie, Mohammed aveva trovato lavoro come pastore. Al termine dell’estate, aveva chiesto invano al suo datore di lavoro il compenso pattuito, ricevendo minacce e percosse. Fuggito dal suo sfruttatore, ha raggiunto la città di Jeddah alla ricerca di un nuovo lavoro. E qui, nel novembre scorso, è stato catturato dalla polizia saudita, e condotto in un centro per immigrati clandestini a suon di botte.

La situazione per i lavoratori illegali in Arabia Saudita sta diventando critica e preoccupa non poco le agenzie umanitarie. Nei centri di detenzione le condizioni di vita sono insostenibili: manca acqua, cibo e perfino un tetto dove ripararsi la notte.

Il governo di Addis Abeba stima che siano ancora 30 mila i cittadini etiopi in attesa di rimpatrio. Fino a pochi giorni prima di Natale, il flusso dei rientri era imponente: 7 mila persone al giorno. Tra i 137 mila già rientrati, oltre 7 mila sarebbero minori. Circa 85 mila gli uomini, 45 mila le donne.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sta sostenendo (anche grazie alle donazioni che arrivano dalle associazioni degli etiopi in diaspora) il governo di Addis Abeba nel far fronte a questo massiccio rimpatrio. Sono stati allestiti nei sobborghi della capitale 6 campi di transito, dove gli immigrati vengono accuditi e sottoposti a visite mediche. A ciascuno l’Oim consegna 50 dollari, una somma destinata a coprire le spese per rientrare al villaggio, che in alcuni casi dista molte centinaia di chilometri.

Ma una volta ritornati al tukul paterno, per tanti giovani si porrà il problema di sbarcare il lunario. Il ministero degli Esteri etiope intende lanciare una campagna d’informazione sul trattamento riservato ai lavoratori stranieri in alcuni Paesi, sperando così di scoraggiare l’emigrazione. Contestualmente il governo sta tentando di elaborare un piano nazionale per favorire le piccole e medie imprese e creare nuova occupazione. Ma la realtà quotidiana della gran parte delle aree rurali dell’Etiopia e delle immense e miserabili periferie urbane è quella della povertà endemica e della disoccupazione. Di fronte alla quale non è escluso che Mohammed e molti altri (già ridotti sul lastrico) possano nuovamente pensare di emigrare, tentando altre rotte della disperazione. In fondo, in questo mondo globalizzato e diseguale, non c’è che l’imbarazzo della scelta.

(Twitter: @caffulli)

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