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Femminicidio arabo: delitto d’onore!

Naman Tarcha
15 gennaio 2014
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Femminicidio arabo: delitto d’onore!
Un gruppetto di giovani donne palestinesi manifestano contro la violenza domestica e i delitti d'onore a Gerusalemme il 7 marzo 2012. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

Sono molto frequenti, ma non ne parla nessuno, eclissati da una sorta di patto segreto, un silenzio complice. Li chiamano delitti d'onore: un fenomeno antico quanto le società maschiliste, che viene giustificato, tollerato e poco punito. In cima alla lista dei contesti violenti Arabia Saudita, Yemen, Iraq, Giordania e Territori Palestinesi.


(Milano) – Sono molto frequenti, ma non ne parla nessuno, eclissati da una sorta di patto segreto, un silenzio complice. Li chiamano delitti d’onore: un fenomeno antico quanto le società maschiliste, che viene giustificato, tollerato e poco punito. Quasi sempre l’autore se la cava con pochi anni di carcere, per aver danneggiato la reputazione della propria tribù e disonorato la propria famiglia.

Tanti crimini passano inosservati perché vengono denunciati come suicidi, incidenti, e morti naturali, e siccome accadono spesso in famiglia, per salvare le apparenze, nella società si tende a non fare troppo rumore. Le cause di questo fenomeno, nella maggior parte dei Paesi arabi, vanno ricercate nella violenza sociale dilagante, nella mancanza di leggi specifiche (e adeguate punizioni), oltre che nella giustificazione legata ai valori e alle tradizioni, ma soprattutto nell’errata interpretazione della religione, che porta a una tolleranza sociale del fenomeno e discrimina chi lotta contro questi crimini. Alcuni rapporti internazionali parlano di circa 20 mila femminicidi all’anno nelle società arabe e dei Paesi musulmani.

In cima alla lista si trovano i Paesi del Golfo (in particolare Arabia Saudita e Yemen) e, in Medio Oriente, Iraq, Giordania e Territori Palestinesi. In quest’ultimo contesto le organizzazioni non governative contro la violenza alle donne denunciano che solo tra il 2012 e il 2013 in Cisgiordania e a Gaza sono stati registrati 25 casi di crimini d’onore la maggior parte riguardanti giovani donne non sposate uccise dai propri fratelli.

La Giordania è considerata uno dei Paesi peggiori per il femmicidio: secondo alcuni attivisti ci sono almeno 20 casi all’anno. Questo fenomeno ha una connotazione preoccupante, perché non riguarda solo le famiglie musulmane, ma anche quelle cristiane; ciò accade perché si tratta di una società ancora oggi di impronta tribale, dove molti crimini sanguinari vengono classificati come delitti d’onore.

Un’ indagine dell’università di Cambridge condotta su 856 studenti giordani rivela che il 33 per cento di loro considera giustificabile il fatto di uccidere figlia sorella, e moglie per una questione d’onore e per tutelare il buon nome della famiglia.

In Giordania, come in tutti i Paesi arabi, l’omicidio è punibile con la pena di morte, ma se si tratta di delitti d’onore il tribunale applica una pena minore nel caso in cui genitori e parenti della vittima ritirino le accuse. Malgrado tutte le pressioni delle organizzazioni per i diritti umani, il Parlamento giordano ha respinto due volte proposte di riforma dell’articolo 340 che applica pene leggere agli omicidi e reati classificati come delitti d’onore.

In Arabia Saudita questi crimini scompaiono, perché vengono sistematicamente taciuti e occultati. Le donne, non avendo contatti con l’esterno, non risultano attive nella società e nella vita quotidiana. Semplicemente scompaiono, mentre le organizzazioni contro le violenze alla donne non hanno una vita facile, costrette come sono a subire persecuzioni, mancanza di trasparenza e l’avversione di una società chiusa.

Religione, tradizione, usanze, pudore, tabù, privacy: l’insieme di questi fattori giustifica in qualche modo la mancanza d’informazione, l’assordante ignoranza del fenomeno, e il silenzio complice dei mass media arabi.

Il femminicidio giunge così a rappresentare il 60 per cento degli omicidi nel mondo arabo, e di sicuro non ha niente a che vedere con l’onore. Anzi, rappresenta il disonore di una società che uccide le proprie madri con le proprie mani.

Naman Tarcha è un giornalista televisivo. Siriano di Aleppo, laureato in Comunicazione all’Università Pontificia Salesiana di Roma, vive e lavora da anni in Italia. È ricercatore ed esperto di mass media e cultura araba, oltre che dell’area mediorientale.

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