In Siria, oggi, si muore anche di fame. Sono più di 40 i morti per denutrizione registrati nei primi giorni del 2014 nel campo profughi palestinese di Yarmuk, che sorge a dieci chilometri da Damasco. Yarmuk è un grande campo nato nel 1957. Nel 2011, all’inizio della guerra siriana, vi abitavano circa 160 mila palestinesi, ormai ridottisi a 18 mila.
(Milano/c.g.) – In Siria, oggi, si muore anche di fame. Sono più di 40 i morti per denutrizione registrati nei primi giorni del 2014 nel campo profughi palestinese di Yarmuk, che sorge a dieci chilometri da Damasco. Yarmuk è un grande campo nato nel 1957. Nel 2011, all’inizio della guerra siriana, vi abitavano circa 160 mila palestinesi, in gran parte discendenti di quei profughi fuggiti dalla Palestina nel 1948, dopo la vittoria di Israele.
Per molti mesi il campo è stato solo sfiorato dalla guerra, riuscendo a sopravvivere in una condizione di neutralità. Nel dicembre del 2012, però, a Yarmuk si sono verificati i primi scontri tra palestinesi che sostenevano il presidente Bashar al-Assad e altri che lo avversavano. Una situazione di violenza che ha indotto gli operatori dell’Onu a interrompere i propri progetti (abbandonando scuole e ospedali) e la maggior parte della popolazione a fuggire. Oggi nel campo sarebbero rimasti 18mila profughi, a cui si sono aggiunte alcune altre migliaia di siriani sfollati da aree più pericolose del Paese.
Nel luglio del 2013 le forze palestinesi pro-Assad e l’esercito siriano hanno deciso di mettere il campo sotto assedio, con l’obiettivo di far uscire allo scoperto le milizie ribelli che vi si erano rifugiate. Il campo è stato così accerchiato da posti di blocco filo governativi per impedire alla popolazione e alle merci (cibo e medicine) di uscire ed entrare. Un assedio che ha progressivamente fatto scivolare Yarmuk in una tragedia umanitaria.
Il 13 gennaio il Fronte per la liberazione della Palestina, che opera a Yarmuk, ha cercato di far entrare senza riuscirci, per la quinta volta in pochi giorni, un convoglio umanitario composto da sei camion carichi di cibo e medicine. Secondo alcune testimonianze il convoglio sarebbe stato fermato da colpi di mortaio, lanciati da miliziani stranieri contrari ad Assad, asserragliati nel campo.
Secondo un volontario che partecipava al convoglio intervistato dal quotidiano libanese al Akhbar, i miliziani avrebbero deciso di bloccare il convoglio per scaricare sul governo la responsabilità della strage e accusare le fazioni palestinesi di non riuscire ad aiutare i residenti. «Dopo aver rifiutato l’ingresso nel campo del convoglio – ha spiegato il volontario -, i miliziani diffondono la voce che invece loro soccorrono gli affamati presso l’ospedale…». Secondo l’opposizione, al contrario, sono proprio i posti di blocco governativi ad impedire l’ingresso dei camion. Una situazione di conflitto in cui sono i più deboli, bambini compresi, a pagarne le spese, morendo di stenti.
Secondo l’agenzia palestinese Ma’an, oltre ai numerosi morti per denutrizione, a Yarmuk in questi giorni sono morti anche due manifestanti (di 10 e 19 anni), uccisi a colpi di arma da fuoco, colpevoli solo di aver protestato contro l’assedio del campo.
«A Yarmuk non riescono ad entrare gli aiuti umanitari – ha confermato Christofer Gunness, portavoce dell’Unrwa, l’agenzia Onu per l’assistenza ai palestinesi, responsabile del campo –. È un luogo in cui i residenti vivono normalmente in condizioni di estrema sofferenza umana». Condizione che accomuna molti loro connazionali coinvolti nel conflitto; secondo l’Onu, infatti, almeno l’80 per cento dei palestinesi residenti in Siria avrebbe bisogno di aiuti umanitari. Domenica scorsa a Parigi, in occasione dell’incontro del gruppo dei governi «Amici della Siria», il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il segretario di Stato americano John Kerry hanno auspicato l’apertura di corridoi umanitari, che consentano il trasporto di cibo e medicine.
La crisi del campo palestinese di Yarmuk ha avuto un riflesso anche in Palestina, a Ramallah e nella Striscia di Gaza, dove gruppi di giovani e bambini hanno protestato per manifestare la loro rabbia nei confronti degli amministratori palestinesi, accusati di non essere in grado di gestire la situazione e di aiutare gli abitanti del campo alle porte di Damasco.