Il presidente libanese, Michael Sleiman, ha dichiarato ieri di aver accettato una sovvenzione di 3 miliardi di dollari da parte del re saudita Abdullah, finalizzata a potenziare la dotazione dell’esercito. La mossa saudita viene interpretata in chiave anti sciita e quindi contro l'Iran, Hezbollah e il governo siriano. A vendere nuove armi ai libanesi sarà la Francia.
(Milano/c.g.) – I riflessi del conflitto siriano continuano pericolosamente a scuotere il Libano. Il presidente libanese, Michael Sleiman, ha dichiarato ieri di aver accettato una sovvenzione di 3 miliardi di dollari da parte del re saudita Abdullah, finalizzata a potenziare la dotazione dell’esercito nazionale «in modo che possa proteggere il Paese – ha spiegato Sleiman, un passato da generale – contro l’estremismo e il settarismo». «Rafforzare l’esercito è una richiesta condivisa da tutti in Libano», ha dichiarato il presidente, aggiungendo che le forze armate libanesi utilizzeranno i fondi sauditi per acquistare armi dalla Francia.
L’annuncio del presidente libanese arriva in un momento delicato per il Paese: domenica sono stati sparati, – non si sa da chi – diversi colpi di mortaio dal territorio libanese verso Israele, provocando la risposta armata israeliana; mentre venerdì, a Beirut, un’autobomba ha ucciso 7 persone, ferendone 70; tra i caduti, Mohamad Chatah, sunnita, ex ministro delle Finanze ed ex-ambasciatore negli Stati Uniti, esponente di spicco della Coalizione 14 Marzo, alleanza politica che riunisce i maggiori partiti libanesi dell’opposizione, avversi agli sciiti di Hezbollah e accomunati dall’ostilità per la storica ingerenza siriana in Libano e per il presidente della Siria, Bashar al Assad.
L’assassinio di Chatah ha suscitato vive proteste da parte della Coalizione 14 marzo che ne ha subito attribuito la responsabilità a Hezbollah. Domenica la folla accorsa per il funerale dell’ex ministro nella grande moschea Mohammad al-Ami, in centro a Beirut, urlava slogan come «Non c’è altro Dio all’infuori di Allah ed Hezbollah è un nemico di Allah». Nel corso della sua orazione funebre, l’ex primo ministro sunnita Fouad Siniora ha arringato la folla dicendo che la coalizione 14 marzo «libererà con una battaglia pacifica e democratica il Libano dall’occupazione delle armi illegittime di Hezbollah».
In questo scenario, i 3 miliardi di dollari messi a disposizione dall’Arabia Saudita, potenza sunnita del Medio Oriente, possono essere letti in chiave anti-Hezbollah, anti-Assad e anti Iran, il principale antagonista sciita nello scacchiere. Il finanziamento potrebbe garantire all’esercito libanese una superiorità militare nei confronti del movimento sciita che, di fatto, dispone di un proprio ingombrante esercito.
Un rafforzamento dell’esercito libanese, obbligherebbe Hezbollah a concentrarsi sul fronte interno, distogliendo il movimento dal suo l’impegno sul fronte siriano, dove oggi sarebbe presente con circa 3.000/3.500 miliziani. La presenza di meno miliziani sciti libanesi in Siria,potrebbe costituire un vantaggio strategico per il fronte sunnita degli oppositori al regime di Assad. D’altra parte, l’acuirsi della tensione tra sciiti e sunniti in Libano non è una buona notizia e riporta alla memoria i disastri della guerra civile (1975-1990).
Quella che ha coinvolto l’ex-ministro Chatah, è l’ultima di una serie di stragi avvenute negli ultimi mesi in Libano, attentati che tuttavia hanno lasciato sul campo soprattutto vittime sciite sia a Beirut, sia nella città di Tripoli, causando più di cento morti e ferendo centinaia di persone. Da parte loro, i vertici di Hezbollah hanno condannato l’attentato: «Hezbollah esprime la sua ferma condanna per l’efferato crimine che ha avuto come obiettivo il ministro Chatah, portandolo al martirio, assieme a numerosi civili libanesi». «Hezbollah è convinto sia da inserire in una serie di crimini ed esplosioni di bombe finalizzati a sabotare il Paese. Un peccaminoso tentativo di destabilizzare il Paese e l’unità nazionale, da cui trae beneficio solo il nemico».