Uno sguardo da Luxor
L'antica Tebe, città dei re e delle regine e capitale dell'Egitto al tempo del Medio Regno, è oggi nota con il nome di Luxor. Da lì l’odierna realtà egiziana appare quanto mai variegata e problematica. A maggior ragione per i cristiani, che sono minoranza (circa 300 mila, su una popolazione di 3 milioni e mezzo di abitanti). Da queste terre, insieme alle notizie di sopraffazioni e sofferenze, giungono però anche segnali di speranza e dialogo.
L’antica Tebe, città dei re e delle regine e capitale dell’Egitto al tempo del Medio Regno, è oggi nota con il nome di Luxor. Da lì l’odierna realtà egiziana appare quanto mai variegata e problematica. A maggior ragione per i cristiani, che sono minoranza (circa 300 mila, su una popolazione di 3 milioni e mezzo di abitanti). Ancor più esigua la presenza copto-cattolica: 18 mila fedeli, 21 parrocchie e 24 sacerdoti. Soprattutto nelle aree periferiche dell’Egitto è più violento il confronto tra la schiacciante maggioranza musulmana e le comunità copte, entrambe queste componenti arroccate in una difesa atavica dei propri confini e dei propri diritti.
Da queste terre, insieme alle notizie di sopraffazioni e sofferenze, giungono però anche segnali di speranza e dialogo, segno che lo Spirito soffia dove vuole.
Il vescovo copto cattolico di Luxor – mons. Youhannes Ezzat Zakaria Badir, che regge la diocesi dal 23 giugno 1994 -, esemplifica la situazione che si è creata nel Paese: «I Fratelli Musulmani e salafiti, ben organizzati, hanno “rubato” la rivolta dei giovani di piazza Tahrir, hanno vinto le elezioni e si sono impadroniti dell’Egitto. Subito hanno cominciato a realizzare il loro progetto per l’islamizzazione del Paese e la creazione di uno Stato confessionale. Hanno nominato i loro fedelissimi nei posti strategici dell’amministrazione pubblica. In un anno di presidenza Morsi, non è stato fatto alcun passo avanti sulla strada della democrazia e si sono moltiplicati i problemi sociali ed economici. Sono inoltre cresciuti gli scontri fra musulmani e copti in tutto l’Egitto».
La ragione? I fondamentalisti hanno accusato i copti di tradimento, di essere contro il progetto islamico e di aver collaborato alla caduta di Morsi, il 30 giugno scorso, attraverso il movimento Tamarrud (Ribellione) che è tornato nelle piazze egiziane.
Monsignor Zakaria traccia il tragico bilancio di questi scontri: 86 copti uccisi, 43 rapiti, 108 chiese e 14 scuole cristiane distrutte; 83 case e negozi appartenenti a cristiani distrutti o danneggiati.
«Solo nella mia diocesi – spiega il vescovo di Luxor – cinque copti sono stati uccisi, tre chiese, due dispensari, 18 case e negozi sono stati distrutti o bruciati o danneggiati. A onor del vero, ci sono state molte perdite e vittime fra i musulmani, molti dei quali si sono opposti alle violenze. Il capo dell’esercito egiziano ha promesso di ricostruire e restaurare tutti gli edifici distrutti e bruciati. E siamo in attesa che venga mantenuta questa promessa».
«Come cristiani, i fatti recenti ci hanno però aiutato a riscoprire il senso profondo del perdono», aggiunge mons. Zakaria. Sulle facciate delle chiese bruciate e distrutte alcuni hanno messo dei cartelli con le seguenti scritte: «Noi perdoniamo e preghiamo», «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori», «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».
La solidarietà tra credenti delle varie religioni, tra chi è riuscito a rimanere immune dal virus del fondamentalismo, è uno degli aspetti che rincuorano il vescovo e lo fanno essere tutto sommato ottimista per il futuro: «Conosco famiglie musulmane che hanno ospitato, protetto e salvato molti cristiani dagli scontri. Ho visto cristiani e musulmani, specialmente nei villaggi poveri, vivere la carità fraterna. Ognuno aiuta l’altro, mettendo tutto quello che possiede in comune. Questa carità fraterna ci ricorda lo stile dei primi cristiani, così come ci viene raccontato nel libro degli Atti degli Apostoli. Per sette giorni sono rimasto chiuso nella casa vescovile durante un assalto dei salafiti, e un soldato musulmano, senza che glielo chiedessi, quando è mancato il pane, ha avuto cura di procurarmelo».
La paura per il futuro dell’Egitto rimane, ma non mancano segnali di fiducia e speranza. «Il segreto della forza e del coraggio dei cristiani egiziani è la preghiera. Ho imparato da un contadino cristiano a pregare davanti all’icona della fuga in Egitto della Sacra Famiglia, che si trova in tutte le Chiese egiziane, con queste parole: “O Gesù, Maria e Giuseppe che avete trovato rifugio e sicurezza in terra d’Egitto, vi chiedo di custodire e proteggere questa terra. E che i musulmani e i cristiani possano vivere insieme in pace, amore e gioia».
Un sogno di pace e fraternità che si potrà realizzare se vincerà nel Paese la volontà di realizzare una società civile laica e democratica. Un segnale a cui molti guardano con speranza è questo: l’assemblea costituente egiziana, incaricata di riscrivere la Costituzione elaborata nel 2012 dai Fratelli musulmani, ha approvato domenica 27 ottobre un emendamento che abolisce le restrizioni per la costruzione di chiese cristiane nel Paese.
(Twitter: @caffulli)