Il suo nome è Pnina, in ebraico «perla», ha visto nascere lo Stato di Israele, perché nel 1948 lei era già a Gerusalemme, dove arrivò nel ‘38 dalla Polonia. Aveva il sogno di diventare medico ma dovette «accontentarsi» di studiare da infermiera. Fu mandata a far pratica in un ospedale di Tel Aviv durante la guerra del ‘47-’48: «Tra tanti, tantissimi feriti… fu la scuola che mi segnò la vita – ricorda – quando chi lottava era gente meravigliosa, uomini e donne capaci di sacrifici… Ho conosciuto Ben Gurion e i suoi, vivevano con sobrietà ed erano più umani dei leader di oggi».
Una vita spesa a curare i più deboli, nei kibbutz dove Pnina ha sempre vissuto, poi nelle missioni di Physicians for Human Rights, (Medici per i diritti umani, ndr). Pur con gli acciacchi dell’età (vispa novantenne), il sabato sale sull’ambulanza per raggiungere i villaggi palestinesi, dove vivono coloro che, «nella terra di Israele sono sempre stati trattati come gente di serie B».
Comunista convinta, capelli corti con codino e orecchini spaiati, spiega con candore: «Prima mi dimenticavo di abbinarli, poi ho deciso di dare così due profili di me, diversamente interessanti». Ha educato i figli nel rispetto del prossimo: «Quando mio figlio di cinque anni mi disse che avrebbe voluto fare il pilota per lanciare bombe sugli arabi, organizzai un soggiorno di famiglia presso amici arabi; mio figlio si divertì molto e… alla fine restò scioccato nel sapere chi fossero. Una lezione di vita che ricorda ancora oggi!»
Pnina continua ad essere attiva nella difesa dei diritti umani, interviene con passione sui blog e nei commenti agli articoli dei giornali… La sua ricetta per un futuro di pace? «Alla mia età – dice – posso dire che la paura è alla base della storia di Israele e oggi vedo questa strategia amplificata per giustificare la militarizzazione. È urgente che israeliani e palestinesi facciano cose insieme, per conoscersi e rompere la paura che hanno l’uno dell’altro».