Di giornate calde nella sua storia recente il Libano ne ha vissute un'infinità. E sono ormai due anni che tutti andiamo dicendo che c'è il rischio che anche Beirut venga trascinata nel vortice della guerra in Siria. Proprio per questo il rischio vero è non capire la portata devastante dell'attentato suicida che martedì 19 novembre ha colpito l'ambasciata iraniana a Beirut, facendo morti e feriti in tutto il quartiere sciita.
Di giornate calde nella sua storia recente il Libano ne ha vissute un’infinità. E sono ormai due anni che tutti andiamo dicendo che c’è il rischio che anche Beirut venga trascinata nel vortice della guerra in Siria. Proprio per questo il rischio vero è non capire la portata devastante dell’attentato suicida che martedì 19 novembre ha colpito l’ambasciata iraniana a Beirut, facendo morti e feriti in tutto il quartiere sciita.
Il nuovo sanguinoso attentato è caduto quasi alla vigilia del 22 novembre, il giorno in cui il Libano celebrerà i 70 anni dalla sua indipendenza. Ed è una strage che anche a occhio nudo appare intrecciata al coinvolgimento diretto delle milizie filo-iraniane di Hezbollah a fianco di Bashar al-Assad sul terreno di guerra siriano; un fatto – questo – visto come un’onta particolarmente grave dalle milizie sunnite dell’opposizione siriana, foraggiate dall’Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo. Il tutto mentre l’Arabia Saudita (in questo caso alleata di fatto con Israele) sta facendo di tutto per ostacolare i segnali di disgelo tra Washington e Teheran sulla questione del nucleare iraniano.
Se letto dentro questo quadro molto ampio e complesso si capisce bene perché i giornali a Beirut parlino di un autobomba «in stile iracheno». Il riferimento è al Paese oggi simbolo per eccellenza dello scontro confessionale tra sunniti e sciiti; la grande guerra regionale che Iran e Arabia Saudita – approfittando delle «opportunità» offerte dal disimpegno americano e dalle primavere arabe – stanno combattendo a distanza in casa altrui. L’incubo dei libanesi è che dopo l’Iraq e la Siria lo stesso scontro a tutto campo si estenda anche al Paese dei Cedri.
Se l’incubo è comune – però – le risposte rischiano di essere comunque fragili in un Paese paralizzato dalle contrapposizioni qual è il Libano. Lo si vede bene leggendo due editoriali scritti all’indomani dell’attentato da altrettanti importanti quotidiani libanesi. I titoli dicono sostanzialmente la stessa cosa: «Divisi cadiamo» scrive The Daily Star; «Un tetto, due muri» fa eco L’Orient-Le Jour. In entrambi i casi – dunque – c’è la denuncia del prevalere di interessi di parte rispetto al bene del Paese. Eppure basta leggere i due editoriali per capire quanto le posizioni siano distanti: The Daily Star di fatto attribuisce tutta la responsabilità della situazione alla scelta di Hezbollah di intervenire nella guerra in Siria; L’Orient-Le Jour – invece – sostiene che pretendere come precondizione per il dialogo nazionale il disimpegno di Hezbollah dalla Siria (come fa il Fronte 14 marzo) è una posizione poco realista. La verità, alla fine, è che – come sostiene il quotidiano in lingua francese – il Libano oggi celebra la sua festa dell’indipendenza più per superstizione riguardo a ciò che potrebbe accadere, che per convinzione. Invece avrebbe bisogno di uno scatto d’orgoglio, capace di andare oltre gli estremismi dettati a entrambi gli schieramenti dai potenti alleati stranieri di turno, per dare vita a un governo di unità nazionale che promuova anzitutto il bene del Libano.
Anche perché l’attentato all’ambasciata iraniana potrebbe essere davvero solo l’inizio di una nuova fase terribile per il Paese dei Cedri. Come spiega infatti l’articolo di Al Monitor che rilanciamo qui sotto, uno dei tre grandi fronti di battaglia aperti oggi in Siria è quello delle montagne del Qalamoun, nella zona vicino al confine con il Libano: qui l’esercito di Assad e le milizie di Hezbollah stanno avanzando per «bonificare» le aree ribelli. Ma la frontiera tra la Siria e il Libano è estremamente porosa e non solo per le migliaia di nuovi profughi che si stanno riversando in queste ore nel Paese dei Cedri, andando ad aggiungersi al milione già presente. L’area libanese nei pressi del confine siriano è infatti anche una base strategica per i gruppi jihadisti sunniti. Il rischio, dunque, di uno sconfinamento della battaglia è altissimo: il Libano non è la Turchia, dove l’esercito siriano si è fermato a qualche atto dimostrativo. Proprio per questo motivo mai come oggi occorrerebbe un governo libanese in grado di mostrare che l’indipendenza del proprio Paese non è solo una data da celebrare. Proprio quanto da troppi anni ormai il Libano sta ricercando invano.
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