La bufera Bassem Youssef
In Egitto, la questione del diritto alla libertà di espressione è tornata prepotentemente alla ribalta nelle ultime due settimane. Erano in molti ad aspettarsi che sarebbe accaduto, con il ritorno in tivù del comico Bassem Youssef, ormai celebre anche all’estero, e del suo programma satirico al-Barnameg. Gli islamisti lo aspettavano al varco, pronti a dargli dell’ipocrita, se si fosse astenuto dal criticare il generale Abdel Fattah el-Sisi e il nuovo governo...
In Egitto, la questione del diritto alla libertà di espressione è tornata prepotentemente alla ribalta nelle ultime due settimane. Erano in molti ad aspettarsi che sarebbe accaduto, con il ritorno in tivù del comico Bassem Youssef, ormai celebre anche all’estero, e del suo programma satirico al-Barnameg. Gli islamisti lo aspettavano al varco, pronti a dargli dell’ipocrita, se si fosse astenuto dal criticare il generale Abdel Fattah el-Sisi e il nuovo governo. La satira di Bassem Youssef aveva giocato un ruolo importante, l’anno passato, nel decostruire abilmente il discorso islamista, sia dei leader della Fratellanza Musulmana e dei loro alleati, sia dei tanti predicatori televisivi, che lanciavano i loro anatemi sulla società da diversi canali satellitari. L’ex presidente Mohammed Morsi, in particolare, era stato il bersaglio preferito della satira di al-Barnameg, pertanto gli islamisti si aspettavano un trattamento simile anche nei confronti dell’attuale leadership del Paese. I militaristi, dal canto loro, che l’anno scorso avevano sostenuto Bassem Youssef, temevano, minacciosi, che il comico avrebbe avuto l’impudenza di criticare il loro beneamato generale.
Finalmente, dopo alcuni rinvii di varia natura, il programma è ripartito la sera del 25 ottobre, fra aspettative e pronostici che nemmeno una partita di calcio sarebbe stata capace di suscitare. Ed è subito stato il putiferio. Islamisti e militaristi sono stati punti sul vivo in ugual misura: i primi perché Bassem Youssef, anche se i Fratelli Musulmani non sono stati il bersaglio principale della puntata, non è arretrato di un millimetro dalle sue posizioni sul «fascismo religioso», per citare le stesse parole usate nella sua dichiarazione finale di dieci minuti (clicca qui per il video in arabo con sottotitoli in inglese); i secondi perché la puntata è stata principalmente dedicata alla presa in giro di un emergente «fascismo patriottico in nome della sicurezza nazionale» (sempre usando le parole di Bassem Youssef).
Fra la collera delle due fazioni islamista e militarista, però, c’è stato un vasto pubblico che ha riso di cuore, vivendo la nuova puntata di al-Barnameg come una boccata di aria fresca, in un clima sempre più appesantito dal dilagare della «Sisi-mania». Ridere ha ridato speranza, anche se i più radicali hanno criticato Youssef per non aver attaccato il generale personalmente, come aveva fatto con Morsi. In realtà, il comico ha compiuto una scelta ben più intelligente (oltre al fatto che, obiettivamente, el-Sisi offre molti meno spunti di Morsi per la satira!). Ha infatti sbeffeggiato il comportamento idolatrico dei fan del generale, assieme a tutta la ridicola gadgetistica prodotta negli ultimi mesi: cioccolatini Sisi, gioielli Sisi (anzi CC, secondo la simbologia in uso), abbigliamento militare di vario tipo e altre follie, senza parlare delle mielose dichiarazioni d’amore di attricette, cantanti, presentatori e presentatrici. In questo modo, è scappata anche qualche battuta a doppio senso su el-Sisi («Quanto costa un chilo di Sisi? Mangia e sta zitto!»).
Bassem Youssef ha colto il cuore del problema, che non risiede tanto nella figura del generale el-Sisi (il quale continua a mantenere un basso profilo), ma nel ben più pericoloso sostegno che gli si è creato intorno. Bassem Youssef ha anche deriso il clima di autocensura instauratosi in Egitto ogni volta che si affronta l’argomento militari. Ha riso di se stesso, della sua paura di fronte alle aspettative del pubblico («sarà coraggioso fino in fondo o si dimostrerà un ipocrita?»), mostrandosi anche in questo intelligente, perché in tal modo ha dipinto superbamente la situazione vissuta oggi dalla società egiziana. E infatti, puntualmente, ciò è bastato per mettere in moto la macchina della censura sociale. Neanche un’ora dopo la fine della prima puntata, sono scattate le prime denunce da parte dei soliti “onorati cittadini”. La puntata successiva è stata registrata mercoledì 30 ottobre, sotto l’assedio (pacifico, per fortuna) dei sostenitori del generale el-Sisi e un gran dispiegamento di forze di sicurezza. Tuttavia, la seconda puntata non è mai andata in onda, perché l’emittente Cbc ha deciso di sospendere il programma. Chi ha assistito alla registrazione della puntata dice che Bassem Youssef non ha attaccato il generale el-Sisi, bensì la Cbc stessa, che si era dissociata dal contenuto della prima puntata, e altri presentatori del canale, noti per la loro «sudditanza» al nuovo governo. C’è chi pensa che la censura sia stata un’iniziativa della sola Cbc, ma c’è anche chi fa notare che nessuna tivù al mondo rinuncerebbe mai ai miliardi di dollari pagati dagli inserzionisti, per inserire la propria pubblicità nelle pause di un programma guardato da decine di milioni di spettatori in tutto il mondo, a meno che non avvengano forti pressioni dall’esterno (e la Cbc è già stata ribattezzata Ccbc, cioè Sisi-BC).
Intanto, Bassem Youssef è partito per gli Emirati Arabi Uniti e tace. Un comunicato ufficiale della sua troupe ha fatto sapere che cercheranno di dirimere la disputa con la Cbc in maniera professionale, senza vendere il programma ad altre tivù. Il dibattito continua, ma l’Egitto non ha finito di lottare.