Sabato 16 novembre a Diyarbakir, nella Turchia meridionale, si è svolta una manifestazione senza precedenti. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha incontrato di fronte a una piazza gremita di folla, Masoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno. Una manifestazione all'insegna della collaborazione. Intanto anche in Siria i curdi si mobilitano.
(Milano) – Nel Medio Oriente sconquassato dal conflitto siriano si sta facendo largo un nuovo interlocutore: il popolo curdo. Un’entità di circa 30 milioni di persone unite da lingua e cultura comuni ma divise nei territori di Turchia, Siria, Iraq e Iran; e spesso in questi Paesi perseguitati. Sabato 16 novembre a Diyarbakir, città della Turchia meridionale, si è svolta una manifestazione senza precedenti. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha incontrato di fronte a una piazza festosa e gremita di folla, Masoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno (regione autonoma dell’Iraq, dal 1991). Diyarbakir è una delle maggiori città curde della Turchia. Qui, solo alcuni anni fa, la visita di un leader curdo come Barzani sarebbe stata impossibile a causa dello scontro militare tra il Partito dei lavoratori curdo (Pkk) e le forze armate turche.
Lo scorso marzo, però, Turchia e Pkk hanno firmato un armistizio e a maggio i miliziani curdi hanno iniziato a smantellare le loro basi militari in Turchia. Da parte sua, il governo di Ankara ha annunciato una serie di riforme per ristabilire i diritti negati fino ad ora ai curdi. Riforme presentate di recente, ma valutate deludenti dal Pkk, che ha minacciato perciò di bloccare il processo di pace.
Da qui l’iniziativa senza precedenti di Erdogan, con l’invito del presidente Barzani. «Questa è una visita storica per me: sappiamo tutti che non avrei potuto parlare qui solo 20 o 15 anni fa – ha detto Barzani in una piazza piena di bandiere coi colori del Kurdistan (verde, bianco e arancione) -. Il primo ministro Erdogan ha fatto un passo molto importante verso la pace. Desidero che i miei amici turchi e curdi appoggino il processo di pace!».
Erdogan, da parte sua, ha cercato in ogni modo di mostrare apertura: sul palco ha voluto anche il più popolare cantante curdo, Sivan Perwer, un simbolo del sogno di autonomia curda (una delle sue canzoni più famose si intitola «Chi siamo noi? » e recita: «Siamo i curdi del Kurdistan, un vulcano attivo, fuoco e dinamite in faccia ai nemici» – ndr). Lo stesso Erdogan ha parlato in pubblico per la prima volta di Kurdistan, sfatando il tabù del nazionalismo turco che nega anche solo l’idea di uno Stato per i curdi. Nel suo discorso, ha poi fatto balenare l’ipotesi di maggiore autonomia per i curdi turchi e di un’amnistia generale, richiesta con forza proprio da molti partiti curdi: «Noi saremo testimoni di una nuova Turchia – ha detto – dove coloro che vivono in montagna scenderanno (riferimento ai combattenti del Pkk – ndr) e le prigioni si svuoteranno e i 76 milioni di cittadini turchi saranno una cosa sola».
Il cambiamento radicale nei confronti della componente curda – dalla repressione violenta alla proposta di pace – è probabilmente frutto dei due anni e mezzo di guerra in Siria.
Infatti la Turchia sta facendo i conti con un nuovo inaspettato «vicino di casa»: negli ultimi mesi i curdi della Siria – una comunità di circa 2 milioni di persone che vivono nel territorio confinante con la Turchia – hanno fatto grandi progressi militari, ponendo le premesse per un’amministrazione indipendente della regione. Lunedì scorso, 11 novembre, il partito dell’Unione democratica curda (Pyd), massimo partito curdo in Siria ha annunciato la formazione di un’assemblea costituente, primo passo verso una amministrazione autonoma della regione ed una nuova articolazione della Siria in regioni autonome.
I curdi della Siria, settimana dopo settimana, stanno dimostrando di essere un’entità forte: indipendente dal regime di Bashar al Assad e capace di farsi rispettare dalle bande armate islamiste che imperversano nel Nord del Paese: il 12 novembre Saleh Muslim, capo del Pyd ha dichiarato che negli scontri di questi mesi circa 3 mila miliziani salafiti sono stati uccisi dai suoi e che il Pyd ha avuto un aiuto in armi e finanziamenti dai partiti curdi della Turchia e dell’Iraq. Non solo: secondo Muslim il 30 per cento dei pozzi di petrolio siriani sono in territorio oggi sotto controllo curdo, anche se al momento si tratta di giacimenti non utilizzati e non c’è alcun progetto di rimetterli in attività.
La Turchia, e tutti i Paesi della regione, sembrano non poter più fare finta che i curdi e le loro istanze di autonomia non esistano.