Anche nella ricca Arabia Saudita, non solo in Europa, l’immigrazione rappresenta un’emergenza nazionale, con seri risvolti di ordine pubblico. Riyadh lo scorso 4 novembre ha concluso la più grande sanatoria della sua storia: almeno 4 milioni di immigrati avrebbero ottenuto regolari documenti. Un altro milione avrebbe lasciato il Paese.
(Milano) – Anche nella ricca Arabia Saudita, non solo in Europa, l’immigrazione rappresenta un’emergenza nazionale, con seri risvolti di ordine pubblico. Riyadh lo scorso 4 novembre ha concluso la più grande sanatoria della sua storia: secondo Faisal Al-Otaibi, direttore generale degli ispettori del ministero del Lavoro, almeno 4 milioni di immigrati avrebbero ottenuto regolari documenti, mentre un milione avrebbe abbandonato il Paese.
Numeri giganteschi se si pensa che la più grande sanatoria mai fatta in Italia (quella del 2003, che ebbe luogo in seguito alla legge sull’immigrazione Bossi-Fini) consentì «solo» a 700 mila immigrati di ottenere i documenti; un sesto degli stranieri sanati in Arabia Saudita nonostante che l’Italia abbia il doppio degli abitanti.
La sanatoria saudita appena conclusa aveva l’obiettivo di far emergere molti lavoratori in nero e di allontanarne parecchi altri dal Paese, dove la presenza degli immigrati è strabordante: secondo le stime sarebbero almeno 9 milioni, più della metà della forza lavoro del Paese. Di questi 9 milioni, prima dello scorso 3 aprile – data dell’inizio della sanatoria durata sette mesi e conclusa il 3 novembre – circa la metà sarebbe stata priva di documenti.; immigrati spesso giunti nel Paese con un visto «religioso», motivato da pellegrinaggio nei luoghi santi dell’Islam, e rimasti illegalmente oltre la scadenza del premesso, per lavorare in nero presso datori di lavoro compiacenti.
Va ricordato che proprio questo tipo di immigrazione ha garantito all’Arabia Saudita la crescita economica degli ultimi vent’anni. Il fenomeno, però, portava con sé due conseguenze negative: la prima, quella di danneggiare – con una concorrenza sleale – il mercato del lavoro regolare del Paese; la seconda, di fare concorrenza soprattutto ai lavoratori sauditi, il cui tasso di disoccupazione (12 per cento) è considerato troppo alto dalle autorità. Da qui, la necessità di «saudizzare» il mercato del lavoro interno e allontanare molti stranieri.
Negli ultimi giorni di amnistia migliaia di stranieri si sono ammassati per consegnare i documenti; problemi tecnici e carenza di personale degli uffici pubblici hanno impedito a molti di completare la regolarizzazione.
Il 4 novembre scorso, appena terminato il periodo di sanatoria, il ministero dell’Interno saudita ha iniziato una campagna di arresti conto gli immigrati irregolari e i loro datori di lavoro. Oltre 20 mila, in pochi giorni, sono finiti nei campi di raccolta, pronti per la deportazione. Mentre ai datori di lavoro, scoperti a impiegare immigrati privi di documenti, sono toccati due anni di reclusione o una multa di 20 mila euro.
La polizia saudita starebbe attuando le deportazioni con grande durezza. Sabato 9 novembre è finita nel sangue –con 2 morti, 70 feriti e 560 arrestati – una manifestazione organizzata da centinaia di immigrati irregolari etiopi a Riyadh. Gli immigrati erano scesi in piazza (secondo la polizia armati di sassi e coltelli) per chiedere alle autorità saudite la fine di retate e deportazioni di stranieri privi del permesso di lavoro.
Tedros Adhanom Ghebreyesus, ministro degli Esteri etiope, ha dichiarato di avere informazioni dell’uccisione di tre cittadini etiopi durate alcuni scontri ai primi di novembre. «È inaccettabile – ha dichiarato il ministro -. Abbiamo chiesto alle autorità saudite di investigare seriamente su questi avvenimenti. I nostri cittadini all’estero dovrebbero essere trattati dignitosamente».