Il 7 e 8 novembre, a Ginevra, avrà luogo una nuova sessione dei delicati negoziati sul nucleare iraniano. Da una parte, la delegazione di Teheran, dall’altra il gruppo dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu più la Germania. Con il presidente Hassan Rouhani il regime iraniano sembra più morbido. Israele, però, non si fida.
(Milano) – Il 7 e 8 novembre, a Ginevra, avrà luogo una nuova sessione dei delicati negoziati sul nucleare iraniano. Da una parte, la delegazione di Teheran, che rivendica il diritto del proprio Paese ad arricchire l’uranio che sostiene riservato ad uso civile, per la realizzazione di centrali nucleari. Dall’altra il cosiddetto gruppo dei «cinque più uno» (formato cioè dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia – più la Germania), in rappresentanza della comunità internazionale preoccupata invece del possibile uso militare sello stesso uranio arricchito, utile anche per la costruzione di bombe atomiche.
La grossa novità, rispetto agli anni passati (i negoziati vanno avanti dal 2006), è il fatto che da agosto l’Iran ha un nuovo presidente, Hassan Rouhani, un moderato che ha sostituito Mahmoud Ahmadinejad, tristemente noto per le sue posizioni radicali e anti-semite.
Negli ultimi due mesi, in particolare, i segni di distensione da parte iraniana sono stati numerosi: all’inizio di settembre il neo-presidente Rouhani, a sorpresa ha indirizzato al popolo ebraico gli auguri di un buon Rosh Hashanah (il capodanno ebraico); e contestualmente il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, ha condannato la Shoah (ponendo il nuovo governo in contrasto con la linea «negazionista» di Ahmadinejad). Pochi giorni dopo, tutti i ministeri del governo Rouhani hanno aperto una propria pagina Facebook, fatto ancor più incredibile dal momento che il social network americano è ufficialmente oscurato nella Repubblica Islamica d’Iran.
A metà settembre, alla vigilia del discorso di Rohuani all’Assemblea generale dell’Onu, sono stati rimessi in libertà diversi prigionieri politici (tra cui una donna molto popolare, l’avvocato e attivista dei diritti umani Nasrin Sotoudeh) imprigionati per aver partecipato alle proteste anti-governative iraniane del 2009. Ciò ha ulteriormente favorito la distensione tanto che il 27 settembre il presidente statunitense Barack Obama e quello iraniano Rohuani hanno parlato al telefono per 15 minuti riallacciando un filo diretto tra i due capi di Stato spezzato da oltre trent’anni, a causa della crisi diplomatica provocata dalla crisi degli ostaggi americani del ’79 (oltre cinquanta di membri del personale dell’ambasciata Usa a Teheran vennero tenuti come ostaggi dai primi di novembre 1979 al gennaio 1981). Infine, pochi giorni prima dell’anniversario della presa dell’ambasciata (che cade il 4 novembre) le autorità iraniane hanno rimosso alcuni enormi poster di una campagna anti-americana, appena affissi per le strade di Teheran. Uno dei poster in questione rappresentava un ufficiale americano seduto al tavolo dei negoziati, affiancato da un minaccioso cane legato a una catena, di fronte a un disarmato cittadino iraniano; ad indicare l’onestà iraniana che affronta la «disonestà americana».
Lo stesso 4 novembre, secondo il sito sciita libanese Al Ahed News, vicino al governo iraniano, Ali Khamenei, la suprema guida religiosa della rivoluzione islamica iraniana, ha dichiarato: «Non sono ottimista a proposito dei negoziati ma, con la grazia di Dio, ne possiamo uscire senza danni», schiudendo così almeno uno spiraglio di fiducia.
Da parte ebraica e israeliana invece predomina la diffidenza nei confronti del nuovo corso iraniano. Lo scorso 30 ottobre il presidente del Congresso ebraico mondiale, Ronald S. Lauder ha incontrato il vice-presidente Usa Joseph Biden a Washington per metterlo in guardia rispetto alle ambizioni nucleari iraniane. Lauder ha esortato l’amministrazione Obama a non fidarsi della nuova offensiva di immagine del presidente iraniano.
«L’Iran è tra coloro che apertamente invocano la nostra distruzione – ha ribadito nel corso della riunione settimanale del governo domenica 3 novembre, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu -. E sta perseverando nel suo tentativo ci costruire armi atomiche. Forse ha cambiato metodo, ma non obiettivo. Richiamo la vostra attenzione sul fatto che gli iraniani chiamano l’anniversario della presa dell’ambasciata americana, la Giornata Morte all’America! Questo rende evidente la necessità di continuare le pressioni (internazionali) nei confronti del regime. Sono queste pressioni che li hanno portati al tavolo dei negoziati. Sono convinto che se verranno mantenute, l’Iran smantellerà il suo potenziale militare nucleare. Viceversa, raggiungerà l’obiettivo della bomba atomica».