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I tecno-profughi

di Giuseppe Caffulli
19 novembre 2013
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Il grande occhio si chiama Unosat, è nato nel 2000, ha sede a Ginevra e si occupa della gestione dei programmi satellitari a livello mondiale per conto delle Nazioni Unite. Da quando le rivolte arabe hanno infiammato il Medio Oriente, Unosat è stato coinvolto sempre più spesso nella fornitura di informazioni utili alle agenzie che si occupano di aiuti umanitari. Ma la tecnologia satellitare non è la sola utilizzata per gestire le emergenze umanitarie...


Il grande occhio si chiama Unosat (United Nations Operational Satellite Applications Programme), è nato nel 2000, ha sede a Ginevra e si occupa della gestione dei programmi satellitari a livello mondiale per conto delle Nazioni Unite, collaborando anche con l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare (Cern). L’organizzazione si avvale dell’opera di varie competenze tra le quali geologi, geografi, esperti di immagini satellitari, esperti di sviluppo sostenibile, programmatori di database e specialisti di comunicazione via Internet.

Da quando le rivolte arabe hanno infiammato il Medio Oriente, Unosat è stato coinvolto sempre più spesso nella fornitura di informazioni utili alle agenzie che si occupano di aiuti umanitari. Come? Il grande occhio, attraverso le immagini satellitari, crea mappe dettagliate delle aree a rischio e offre una percezione concreta di cosa sta capitando. Prendiamo la Siria, dove ormai sarebbero 6 milioni e mezzo le persone sfollate dalle loro case e 2 milioni e 200 mila i profughi che hanno superato i confini dei Paesi vicini (Giordania , Libano , Iraq e Turchia).

Le immagini satellitari raccolte da Unosat sono preziose, per esempio, per gestire lo sviluppo del tentacolare campo di Zaatari, in Giordania, che ospita oltre 120 mila profughi. I rilievi di Unosat, capaci di fotografare flussi, arrivi e partenze, aiutano il personale dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) a programmare servizi e necessità del campo, mostrando come meglio dislocare le risorse.

Ma la tecnologia satellitare non è la sola utilizzata per gestire le emergenze umanitarie. Dall’inizio del 2013 in Giordania i profughi sono sottoposti ad una avveniristica scansione biometrica dell’iride. In questo modo vengono gestiti i sussidi per i rifugiati, che possono ritirare ad una specie di bancomat i fondi a loro destinati per la sopravvivenza semplicemente sottoponendosi ad una fotografia oculare. Il servizio, che si vanta di essere sicuro e a prova di frode, è erogato in collaborazione con la Cairo-Amman Bank, che ha sportelli abilitati in 100 località della Giordania.

Ma le innovazioni tecnologiche non finiscono qui. Il Programma alimentare mondiale (Pam) ha messo a punto carta di credito prepagata (denominata Food Card, con grande fantasia), in collaborazione con la Mezzaluna Rossa,  per l’acquisto di beni di prima necessità in esercizi convenzionati. Un modo per sgravare l’Acnur dalla gestione dei pasti nel campo e mettere in circolo denaro fresco nell’economia locale.

Non potevano mancare la telefonia e i tablet. In Giordania l’Acnur ha in previsione di distribuire 120 mila Sim Card gratuite ai rifugiati. L’idea è quella di comunicare tramite sms le informazioni e le notizie riguardanti la vita del campo. Il progetto, a cura dell’International Rescue Committee, funziona già tra i rifugiati del Kurdistan iracheno. Per gli smartphone di più recente generazione vengono sempre più utilizzati i codici Quick Response (QR), attraverso i quali è possibile accedere ad una nutrita serie di servizi.

L’ultima frontiera è il tablet, che permetterà agli operatori umanitari di monitorare a distanza, attraverso opportune applicazioni, la situazione socio-sanitaria degli abitanti del campo.

Chi frequenta quelle zone, sa bene che la realtà, nei fatti, è molto diversa e non è sufficiente qualche microchip per migliorare la situazione: basta andare nei campi sul confine tra Siria e Turchia (Bab as Salaam, per esempio, dove manca di tutto), basta parlare con i profughi in Libano, che vivendo in contesto urbano, e non nei campi, sfuggono quasi del tutto al controllo delle agenzie umanitarie. Ma anche l’occhio (non solo satellitare) vuole la sua parte.

Così potrebbe passare l’idea che ai profughi siriani, ciascuno nella propria confortevole tenda logisticamente ben dislocata grazie al supporto satellitare, dotati di telefono e tablet, con cui potersi collegare a Internet e guardare magari la tivù, davanti ad un pasto caldo acquistato grazie alla Food Card, non manchi quasi più nulla. Tranne il bene più prezioso: la pace. 

(Twitter: @caffulli)

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