Dal gennaio scorso Sua Beatitudine Nourhan I Manougian è patriarca armeno apostolico di Gerusalemme. È succeduto a Torkom, deceduto dopo una lunga malattia lo scorso ottobre all’età di 93 anni. Il nuovo patriarca ha accettato di incontarci e di rispondere alle nostre domande.
Beatitudine, cos’ha provato in occasione della sua elezione a patriarca?
Un sentimento contrastato. Da una parte ero felice, certo, non posso negarlo. Ma dall’altra ero un po’ triste perché mi sarebbe piaciuto che i miei genitori potessero condividere con me questa gioia. Li ho persi quando ero solo un bambino: mio padre è mancato quando avevo tre anni, mentre mia madre se ne andò 3 anni dopo. È normale augurarsi che coloro che amiamo ci siano vicini in simili occasioni. Ma Dio ha voluto altrimenti. Ero contento, ma poi il peso della responsabilità mi è piombato addosso e ho cominciato a pensare: come devo procedere? Quali sono i problemi da risolvere? Sono sicuro, però, che Dio verrà sempre in mio aiuto.
Quali sono le priorità che si è dato nella sua azione pastorale?
Per prima cosa voglio rafforzare la Fraternità armena: è questa la mia priorità. Rinsaldare la Fraternità, i suoi membri. Essa deve ordinarsi attorno a norme e regolamenti chiari, ed esservi attaccata. Poi voglio riorganizzare i diversi monasteri. Infine – a questo tengo particolarmente – vorrei che la cattedrale di San Giacomo fosse restaurata.
Qualche anno fa ho incontrato alcuni italiani che si erano offerti volontari, ma a quel tempo il nostro patriarca aveva delle riserve. Voglio rilanciare questo progetto, ma bisognerà trovare i fondi. Per restaurare la chiesa da cima a fondo, all’esterno come all’interno, servirebbero 15 milioni di euro.
Certo, ci sono anche altri punti su cui bisognerà lavorare. L’insegnamento nel nostro seminario, ad esempio. Uno dei problemi che dobbiamo affrontare è che non troviamo docenti armeni abbastanza qualificati. Dovete sapere che ci sono due lingue armene: una «occidentale», usata nella diaspora e in tutto il Medio Oriente, e quindi anche nella Fraternità, e un’altra «orientale», impiegata in Armenia, Russia e Iran.
Sono così diverse?
Un armeno d’Armenia, a meno che non conosca l’armeno classico, non ci capisce.
E da dove vengono i vostri seminaristi?
Dall’Armenia. Prima della guerra dei Sei giorni li facevamo venire principalmente dalla Siria e dal Libano. Poi però, provenendo da Paesi nemici di Israele, è diventato sempre più difficile ottenere i visti. Così abbiamo cominciato a farli venire dall’Armenia, con tutte le difficoltà linguistiche di cui ho detto, e con il problema anche di dover accogliere giovani che, dopo 70 anni di comunismo, avevano perso contatto con la Chiesa. Dal 1992 abbiamo accolto alcune centinaia di seminaristi dall’Armenia, di cui sette sono stati ordinati sacerdoti. Oggi i seminaristi sono solo una quarantina.
Che relazioni ci sono tra la Fraternità di San Giacomo e la Chiesa madre d’Armenia?
La Santa Sede di Etchmiadzin è un centro spirituale per tutti gli armeni, quindi anche noi guardiamo ad essa come tale. Solo il Catholicos (o supremo patriarca – ndr) può ordinare nuovi vescovi, e quindi anche i nostri sono ordinati in Armenia. Ma nel contempo viviamo nei pressi dei Luoghi Santi, polo d’attrazione per tutta la cristianità, e questo ci assegna un posto speciale.
Quali sono i vostri legami con la diaspora?
Per gli armeni d’Armenia, siamo noi la diaspora, ma nel nostro messaggio in occasione del Natale siamo noi a definirli tale. È vero che la nostra Fraternità ha dei rappresentanti nel mondo: negli Stati Uniti, in Australia, in Europa. In qualità di vescovi, essi sono anzitutto in rapporto con la Santa Sede di Etchmiadzin, ma attraverso di loro noi manteniamo dei legami diretti con una parte della diaspora. Alcuni sacerdoti, alcuni vescovi organizzano pellegrinaggi in Terra Santa. Per quanto mi riguarda, durante un mio viaggio negli Stati Uniti ho incontrato degli armeni originari di Gerusalemme, e anche loro cominciano a organizzare pellegrinaggi e visite in Terra Santa. Ho fatto loro presente ciò che provo quando, durante la Pasqua, vedo tante migliaia di cattolici e di ortodossi venire qui, mentre gli armeni sono così pochi. Ho detto loro: «Come credete che ci possiamo sentire noi, allora? Abbiamo bisogno del vostro “calore”». Quando giungono qui armeni della diaspora, rimangono davvero impressionati nel constatare che siamo presenti al Santo Sepolcro, alla Natività, alla Tomba di Maria, e di quale patrimonio ci prendiamo cura.
Come vive la Chiesa armena apostolica la sua presenza nei Luoghi Santi? E come vede, lei, il suo ruolo di custode di questi luoghi?
Come lei sa, siamo una delle tre principali Chiese presenti nei Luoghi Santi e cerchiamo di conservare ciò che abbiamo ereditato dai nostri padri. Non abbiamo bisogno di nulla di più. Abbiamo quasi gli stessi diritti dei greco-ortodossi e dei latini. In uno spirito ecumenico e fraterno cercheremo di risolvere i problemi che potranno presentarsi. In passato abbiamo usato la forza ma questo non ha portato a nulla (essendo lo Status Quo una tradizione orale, il ricordo che ne hanno conservato le Chiese può variare e portare così a conflitti, soprattutto tra armeni e greci che appartengono entrambi alla grande famiglia ortodossa – ndr). Oggi dobbiamo risolvere le controversie cercando di comprenderci a vicenda, soprattutto in questi tempi in cui il numero di cristiani in questo Paese diminuisce. Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri e nel contempo dare prova di una certa unità di fronte agli ebrei e ai musulmani.
Come vede il cammino ecumenico in Terra Santa?
Abbiamo un rappresentante nelle commissioni ecumeniche e in occasione delle riunioni mons. Aris Shirvanian partecipa a tutti gli incontri. Facciamo del nostro meglio per incoraggiare l’ecumenismo: nei Luoghi Santi ne abbiamo bisogno. Dobbiamo sederci intorno allo stesso tavolo e capire ciò di cui abbiamo bisogno, altrimenti ci perderemo tutti. Ci sono molte cose di cui dovremmo discutere, una serie di questioni che dovremmo affrontare e risolvere insieme. Spero di poter lavorare in questa direzione.
Si dice che gli armeni di Terra Santa continuino a emigrare…
L’emigrazione non riguarda solo gli armeni, ma tutti i cristiani. I cristiani fanno fatica a trovare un lavoro, a pagare i conti, così decidono di partire. È uno dei maggiori problemi del Paese. Gli armeni non sono diversi da tutti gli altri cristiani.
La vostra Chiesa cerca di aiutarli a restare?
Tutt’intorno al nostro convento, le case sono occupate dai nostri fedeli, che vi abitano gratuitamente. È il massimo che possiamo fare per loro. Per lungo tempo abbiamo coperto i costi relativi alla fornitura di acqua ed elettricità, e ancora oggi ne paghiamo una parte. Ma dobbiamo pensare alle nuove generazioni, che desiderano sposarsi e avere una casa dignitosa. Abbiamo delle proprietà su cui potremmo costruire degli appartamenti, ma per farlo abbiamo bisogno di soldi. Dovremo trovare un aiuto. Recentemente, ci sono arrivate delle donazioni da parte di alcuni russi armeni, ma ne servono di più.
Lei è ancora giovane (64 anni – ndr)… Papa Benedetto XVI ha rinunciato al suo incarico invocando l’età e lei ha vissuto da vicino la lunga malattia del suo predecessore. È possibile che un patriarca armeno lasci il suo ministero prima di morire?
Qui non è mai successo. È successo a Istanbul. Finora si è sempre stati patriarchi di Gerusalemme a vita, ma è uno dei punti che pensiamo di rivedere. A 75 o 80 anni il patriarca potrebbe rinunciare alla carica. Nei suoi ultimi sei anni, il nostro patriarca non era in grado di adempiere al suo ruolo, mentre una responsabilità simile richiederebbe di poter contare su tutte le proprie facoltà. Ottant’anni potrebbe essere l’età giusta.
(traduzione dal francese di R. Orlandi)
Dalla Siria a Gerusalemme
Nourhan I Manougian è nato il 22 luglio 1948 ad Aleppo, Siria. Il suo nome di battesimo è Boghos. Dopo gli studi primari in Siria, è entrato in seminario in Libano. Dal 1966 è a Gerusalemme, dove è stato ordinato sacerdote nel 1971. È stato parroco di una comunità svizzera, a Ginevra, prima di rientrare in Israele, prima a Jaffa e poi ad Haifa. Inviato negli Stati Uniti per completare gli studi teologici, ha conosciuto da vicino la realtà della diaspora, lavorando nelle comunuità armene del Massachusetts e del Texas. Rientrato a Gerusalemme, è consacrato vescovo nel 1999. Nel 2009 è nominato vicario patriarcale ed eletto novantasettesimo patriarca armeno di Gerusalemme il 24 gennaio 2013.