Negli ultimi giorni il governo libanese ha chiesto alle bande armate che imperversano a Tripoli di deporre le armi. Alcuni dei gruppi armati hanno rifiutato, mentre altri sembrano essere favorevoli all’iniziativa del governo. Su un altro fronte il presidente Suleiman sta cercando di indurre Hezbollah a porre fine al suo intervento armato in Siria.
(Milano/c.g.) – Il Libano sta attuando, in questi giorni, un imponente piano di sicurezza nelle aree «calde» del Paese. Il 4 ottobre le forze di armate libanesi si sono schierate a Tripoli, città che più di ogni altra subisce il sanguinoso contagio della vicina guerra civile siriana, essendo la sua popolazione divisa – esattamente come la vicina Siria – tra maggioranza sunnita e minoranza alawita. I militari hanno stabilito numerosi posti di blocco, all’ingresso di alcuni quartieri a maggioranza sunnita. Altri ne sono stati allestiti a Haykalieh, sulla strada tra la città di Koura e Tripoli; e a Majdlaya, sulla strada tra Zghorta e Tripoli. Lo scopo di questa grande operazione militare, secondo Marwan Charbel, ministro dell’Interno, è di scongiurare l’esplosione di nuove autobomba (dopo che due vetture imbottite di esplosivo hanno causato, lo scorso 23 agosto, 47 morti e oltre 500 feriti) e di diminuire la presenza di milizie armate in città.
Negli ultimi giorni il governo libanese ha chiesto alle bande armate che imperversano a Tripoli di deporre le armi. Alcuni dei gruppi armati hanno rifiutato, mentre altri sembrano essere favorevoli all’iniziativa del governo. Secondo il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, lo scorso 26 settembre, Ziad Allouki, uno dei capi della guerriglia del quartiere sunnita di Ba bel-Tabbaneh, ha dichiarato che 500 miliziani della sua zona sarebbero d’accordo a deporre le armi in cambio di un lavoro da parte dello Stato e della sospensione del mandato d’arresto nei loro confronti. Il primo ministro libanese dimissionario, Nagib Mikati, ha dichiarato di «aver suggerito al ministro dell’interno Marwan Charbel, di integrare i miliziani nelle forze di sicurezza interne libanesi». «Lavoro statale in cambio di armi» non è una novità in Libano. Alla fine della guerra civile, nel 1990, il governo tentò di disarmare – e in gran parte vi riuscì – le milizie armate proprio in questo modo, e migliaia di miliziani vennero «assorbiti», deposte le armi, nell’amministrazione dello Stato.
Il piano di Tripoli giunge dopo un analogo piano di sicurezza realizzato dall’esercito nel quartier generale di Hezbollah, a Beirut, dove tra luglio ed agosto sono scoppiate due bombe che hanno causato 30 morti e più di 300 feriti. Secondo fonti citate dal quotidiano online libanese Naharnet, Hezbollah potrebbe ritirarsi dalla Siria – dove ha subito centinaia di morti tra le fila dei suoi combattenti – se i motivi che hanno indotto il movimento a intervenire cadessero. Secondo il giornale, i vertici di Hezbollah avrebbero discusso il loro ritiro con il presidente libanese Michel Suleiman, che si era già espresso contro la presenza armata di Hezbollah in Siria. Secondo Suleiman, l’intervento armato di Hezbollah, è contrario ai principi della dichiarazione di Baadba, documento firmato nel giugno 2012 da tutte le forze libanesi. I firmatari della dichiarazione di Baadba concordavano sulla necessità, per la sicurezza del Libano, di dissociare il Paese da conflitti e crisi regionali.