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Ginevra 2, un’altra (fragile) scommessa di pace per la Siria

Terrasanta.net
24 ottobre 2013
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Ginevra 2, un’altra (fragile) scommessa di pace per la Siria
Il presidente siriano Bashar al-Assad pensa di ricandidarsi alla guida del Paese.

Il 23 novembre prossimo si dovrebbe svolgere nella sede dell’Onu di Ginevra l’attesa conferenza per la pace in Siria. L'appuntamento novembrino segue quello già svoltosi, senza esiti positivi, nella città elvetica nel giugno 2012. Molte migliaia di morti dopo, ecco un nuovo tentativo. Intanto in Siria si smantellano gli arsenali di armi chimiche.


(Milano/c.g.) – Tra meno di un mese, esattamente il 23 novembre 2013, si dovrebbe svolgere nella sede dell’Onu di Ginevra l’attesa conferenza per la pace in Siria. L’incontro è stato ribattezzato «Ginevra 2», poiché è il secondo incontro di pace per la Siria che si svolge nella città elvetica. Il primo si svolse nel giugno del 2012 e non portò a risultati concreti. Nell’anno e mezzo trascorso tra la precedente e la prossima conferenza di Ginevra, tuttavia, le cose non sono migliorate. Nel luglio 2012 le vittime del conflitto siriano erano 19 mila; oggi, secondo gli osservatori, avrebbero raggiunto quota 115 mila.

In questi mesi la situazione si è complicata anche sul versante della «rappresentanza» delle parti in conflitto: il fronte dell’opposizione si è spaccato e decine di gruppi armati di impronta islamista (che oggi costituiscono la maggioranza dei combattenti contro il regime) si sono coalizzati nel non riconoscere l’autorità della Coalizione nazionale, ombrello di gruppi laici e moderati riconosciuto invece dalle potenze occidentali. Una coalizione che appare dunque oggi diplomaticamente più «debole», in quanto minoritaria. E che, in ogni caso, ha appena annunciato di non voler partecipare alla conferenza di Ginevra se saranno presenti anche rappresentanti del governo di Bashar al Assad. Condizione che il presidente siriano ovviamente non accetterà mai.

D’altra parte lo stesso Assad, in un’intervista trasmessa lo scorso lunedì dalla tivù libanese Al Majadeen, ha posto le sue condizioni, sostenendo di desiderare un terzo mandato come presidente siriano, rifiutando di riconoscere la legittimità della Coalizione nazionale e osservando che i tempi non sono ancora maturi per dei colloqui di pace.

Nonostante la distanza all’apparenza incolmabile tra i contendenti, le diplomazie internazionali continuano il loro lavoro. Martedì a Londra si è svolto un incontro tra alcuni rappresentanti dell’opposizione siriana e i ministri degli Esteri del gruppo degli Amici della Siria (Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Egitto, Germania, Italia, Giordania, Qatar, Turchia ed Emirati Arabi Uniti), finalizzata a preparare la conferenza di Ginevra. All’incontro di Londra i Paesi occidentali hanno chiesto all’opposizione siriana di «compromettersi totalmente» nei colloqui di pace e partecipare all’incontro di Ginevra.

Anche la diplomazia mediorientale è in movimento: mercoledì scorso Abdallah, re di Giordania, ha incontrato Lakhdar Brahimi, inviato della Lega Araba e delle Nazioni Unite, assicurando il sostegno giordano alla sua missione in Siria e auspicando una soluzione politica al conflitto.

Nella complessità della situazione, vanno citati anche due segnali distensivi: il primo è l’operazione di liberazione di prigionieri e ostaggi che sta coinvolgendo in queste ore sia il governo siriano, sia l’opposizione al regime. Il secondo è lo smantellamento dell’arsenale di armi chimiche a disposizione del governo di Damasco.

Il 21 ottobre l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – insignita del Nobel per la pace proprio pochi giorni fa – ha dichiarato di aver ispezionato 17 depositi di armi chimiche; in 14 di questi gli ispettori hanno completato le operazioni necessarie per rendere inefficaci gli arsenali. La prima fase della distruzione delle armi chimiche siriane termina il primo novembre. Mentre la distruzione complessiva di tutte le armi chimiche dovrà essere fatta entro il 30 giugno prossimo, secondo l’intesa trovata da Russia e Stati Uniti, con il consenso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Non è certo però che gli ispettori siano in grado di terminare il proprio lavoro nei tempi indicati: il 12 e il 16 ottobre scorsi, vicino all’albergo che li ospita, sono esplose bombe e caduti colpi di mortaio. E il loro lavoro si svolge solo quando le condizioni di sicurezza possono essere assicurate.

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