Come tutte le città del mondo anche quella che amiamo definire «santa» ogni cinque anni va al voto per eleggere il suo sindaco. A Gerusalemme - e in tutto Israele - l'appuntamento con le elezioni municipali è in programma per martedì 22 ottobre. Il favorito è il sindaco uscente, il magnate dell'hi-tech Nir Barkat, laico, in carica dal 2008. Ma le urne potrebbero riservare sorprese.
Come tutte le città del mondo anche quella che amiamo definire «santa» ogni cinque anni va al voto per eleggere il suo sindaco. A Gerusalemme – e in tutto Israele – l’appuntamento con le elezioni municipali è in programma per martedì 22 ottobre.
Il favorito è il sindaco uscente, il magnate dell’hi-tech Nir Barkat, laico, in carica dal 2008. Fino all’estate scorsa la sua rielezione era data per scontata, dal momento che nell’attuale consiglio municipale può contare su una maggioranza molto ampia. A mischiare le carte in tavola, però, ci ha pensato la sete di rivincita di Avigdor Lieberman, l’ex ministro degli Esteri israeliano, leader di Yisrael Beitenu. Alla vigilia delle ultime elezioni politiche, indebolito dalle sue vicende giudiziarie, Lieberman aveva scelto la strada della fusione con il Likud di Benjamin Netanyahu, pensando così di costruire un asse intorno a cui far ruotare tutta la destra israeliana. Ma in gennaio gli elettori hanno bocciato sonoramente l’idea e Lieberman si è ritrovato in un angolo. Così adesso – per tornare in gioco – sta provando a giocare la carta Gerusalemme insieme agli altri grandi sconfitti delle ultime elezioni politiche, i partiti religiosi, per la prima volta dopo anni tagliati fuori dalla maggioranza di governo in Israele. Lieberman ha dunque gettato nella mischia un suo candidato: Moshe Lion, ex direttore generale dell’ufficio del Primo ministro e dell’Autorità per lo sviluppo di Gerusalemme. E a partire da questa candidatura ha cercato di ricostruire l’alleanza con i religiosi che in città sono una componente molto importante (il predecessore di Nir Barkat era Uri Lupolianski, esponente di un partito religioso ashkenazita). La mossa di Lieberman non è affatto piaciuta a buona parte del Likud, che si è comunque schierato con Barkat. E – come riferiva qualche giorno fa Arutz Sheva – anche tra i religiosi Lion può sì contare sul sostegno dei sefarditi dello Shas, ma l’appoggio degli ashkenaziti è molto meno certo. Per questo motivo Barkat arriva al voto comunque da favorito, anche se va ricordato che pure nel 2003 l’elezione di Lupoliansky arrivò a sorpresa.
Al di là dei giochi, sempre molto complessi, della politica israeliana, resta comunque la domanda di fondo: quanto conta un sindaco a Gerusalemme? Molto più di quanto sembri. Dalle sue scelte in realtà dipende molto nell’alternativa tra il volto esclusivo oppure plurale della Città Santa. È significativo – ad esempio – che alla vigilia delle elezioni sia previsto domenica un dibattito pubblico promosso da Jerusalem 5800, un sodalizio nato per provare a immaginare come sarà Gerusalemme nell’anno 5800 del calendario ebraico (cioè tra circa 25 anni). Un think-tank in cui si parla di tante cose: lo sviluppo urbanistico, le infrastrutture, la capacità di attrarre sempre più turisti… Ma non si vede traccia di un tema: la Gerusalemme degli arabi, che poi vuole dire più o meno un terzo della popolazione.
Questa rimozione collettiva è resa molto più semplice dalla scelta del boicottaggio delle urne da parte dei palestinesi di Gerusalemme Est, che in teoria avrebbero il diritto di votare dal momento che pagano le tasse come tutti i residenti. Come racconta Al Monitor nell’articolo che rilanciamo sotto, anche questa volta l’Olp ha ribadito l’invito a non partecipare al volo per non avallare l’occupazione da parte di Israele. Ma è una posizione abbastanza discutibile: in altri contesti – ricorda Al Monitor – si è distinto tra la partecipazione al voto amministrativo e quella alle elezioni politiche. Proprio per evitare il circolo vizioso di un passo indietro che – in nome di un principio – rende di fatto molto più facile l’adozione di scelte quotidiane (la costruzione delle scuole, la dotazione di servizi, i piani regolatori…) che sanciscono per gli arabi un ruolo da cittadini di serie B.
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