Dopo quanto accaduto in questi giorni all'Assemblea generale dell'Onu, tutti parlano del presidente iraniano Hassan Rouhani e delle possibilità di una svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti e Israele, a partire dalla questione incandescente del negoziato sul nucleare. Il presidente Obama e John Kerry hanno mostrato di sperarci, il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo esclude categoricamente, l'Europa intravede già la possibilità di tornare a fare affari con Teheran...
Dopo quanto accaduto in questi giorni all’Assemblea generale dell’Onu, tutti parlano del presidente iraniano Hassan Rouhani e delle possibilità di una svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti e Israele, a partire dalla questione incandescente del negoziato sul nucleare. Il presidente Usa Barack Obama e il segretario di Stato John Kerry hanno mostrato di sperarci, il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo esclude categoricamente (del resto la minaccia iraniana è da anni il perno della sua politica estera), l’Europa intravede già la possibilità di tornare a fare affari con Teheran.
Per capire – però – davvero i termini della partita in corso intorno all’Iran forse varrebbe la pena di allargare un po’ lo sguardo. Perché in questo momento Rouhani sta compiendo mosse interessanti non solo nei confronti di Washington, ma anche molto più vicino a casa sua. Al netto della retorica – infatti – il nuovo corso di Teheran probabilmente riguarda molto di più la questione degli equilibri regionali che le relazioni con l’Occidente. Tre articoli usciti in questi ultimi giorni possono aiutarci a capirlo meglio.
Il primo ad affrontare questo discorso – con la sua consueta lucidità – era stato già la settimana scorsa l’analista libanese Rami Khouri, commentando le ricadute dell’iniziativa russa sulla questione delle armi chimiche in Siria. Russia e Stati Uniti si possono sì mettere d’accordo, aveva spiegato, ma il vero banco di prova sono le ricadute sugli altri due grandi attori regionali che stanno dietro al conflitto a Damasco: l’Iran e l’Arabia Saudita. Perché il confronto tra sunniti e sciiti è ormai da tempo il filo rosso che attraversa tutto il Medio Oriente: dal Bahrein fino all’Iraq sono Teheran e Riyadh a scontrarsi per procura. Non ci può essere, dunque, accordo sulla Siria che non preveda una qualche intesa anche tra Iran e Arabia Saudita. In questo momento – annotava bene Khouri – Stati Uniti e Russia premono in questa direzione. E il vento nuovo che soffia a Teheran sembra offrire una buona opportunità. Lo stesso Rouhani, del resto, nei giorni scorsi ha lanciato alcuni segnali in questa direzione arrivando addirittura a ipotizzare in un tweet un viaggio a Riyadh (modo inusuale, ma probabilmente efficace per sondare il terreno).
Inoltre c’è qualcun altro che in questo momento in Oriente avrebbe tutto l’interesse a cogliere l’opportunità offerta dal nuovo approccio iraniano alla politica estera ed è la Turchia di Erdogan. Lo sottolinea bene l’articolo che rilanciamo sotto, tratto dal sito Al Monitor. La Turchia è il Paese che più ha subito le conseguenze del conflitto siriano: sta finendo impantanata nella contrapposizione tra sciiti e sunniti, rinnegando tutto quanto aveva costruito nell’ultimo decennio. Ma Ankara è anche un Paese che ha fatto affari con l’Iran e avrebbe tutto l’interesse a tornare a farli. Potrebbe essere dunque un ulteriore attore pronto a spingere per un grande accordo regionale che gli permetta di tirarsi fuori dall’incubo siriano.
C’è infine anche un terzo aspetto di tutto questo discorso: lo riprendiamo dal quotidiano degli Emirati Arabi The National che – molto più che sulla politica – si concentra sulle implicazioni economiche di un’eventuale superamento delle sanzioni. Per Teheran significherebbe ritornare a essere un protagonista della politica energetica non solamente sul petrolio, ma anche nel settore oggi ancora più strategico delle esportazioni di gas. Potrebbe riequilibrare nell’Opec l’attuale dominio dell’Arabia Saudita, fare concorrenza alla Russia con i gasdotti per l’Europa, fare affari persino con i Paesi del Golfo. C’è anche tutto questo dietro al pragmatismo avallato oggi dalla Guida suprema Ali Khamenei dopo gli anni della presidenza di Ahmadinejad. Ma è proprio su questo nodo della competizione sulla politica energetica che si annidano forse le incognite più pericolose per il nuovo corso di Teheran.
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