(Milano) – Tra i suoi modelli, Charles de Foucauld. Come lui ha vissuto la solitudine e il fallimento. Come fratel Charles è morto di morte violenta.
Il prossimo 23 settembre ricorrono i tre mesi dall’uccisione a Ghassanieh di padre François Mourad, a 49 anni d’età. Si trovava nel convento francescano della località dell’Oronte, nelle cui vicinanze aveva fondato, sotto l’obbedienza del vescovo siro cattolico di Hassaké monsignor Behnam Hindo, il monastero dedicato a San Simeone lo Stilita.
Padre François era approdato a Ghassanieh dopo diversi tentativi di vita religiosa e monastica. Aveva fatto il noviziato presso i francescani della Custodia di Terra Santa, poi era passato a Latroun, dai trappisti. Si sentiva chiamato però ad una vita contemplativa, in linea con la spiritualità dello Stilita, tra i padri del monachesimo siriano. Aveva presentato nel 1998 la Regola dei Fratelli di San Simeone Stilita al vescovo siro-cattolico, chiedendo di dar vita a una nuova fondazione. Ottenuto il permesso, aveva avviato una casa religiosa nei pressi di Aleppo, ma nel 2010 – a causa di difficoltà con gli abitanti musulmani del villaggio – si era convinto a trasferirsi nella regione dell’Oronte, a maggioranza cristiana, dove aveva rifondato il suo monastero.
Con l’inizio della guerra civile, la nuova fondazione è stata saccheggiata dai membri dell’Esercito libero, che hanno asportato perfino porte e finestre. Così padre François è stato costretto a rifugiarsi presso la parrocchia latina di Ghassanieh, tenuta dai francescani. «Padre Mourad – ricorda fra Firas Lufti, che dalla missione di Knayeh ha avuto l’ingrato compito di ricomporre i resti mortali del religioso assassinato – aveva scelto di vivere tra profughi e bisognosi, per testimoniare la misericordia di Dio. Aiutava tutti, senza chiedere nulla. Era un uomo di Dio, cosciente dei pericoli che correva e dell’eventualità di poter perdere la vita».
Padre François era solito inviare lettere e messaggi ai superiori, ai confratelli e alle religiose che assisteva spiritualmente. In una lettera al vescovo confidava: «Siamo in pericolo. Non possiamo né lasciare il villaggio né entrarvi. Hanno attaccato chiese e insegne religiose Ogni giorno uno di noi scompare. Non so quando verrà il mio momento. Comunque, io sono pronto a morire; e che la mia Chiesa ricordi che ho offerto la mia vita con gioia per ogni cristiano di questo amato Paese. Pregate per me».
Nel febbraio scorso, di fronte all’inasprirsi della situazione, scriveva: «Gli avvenimenti precipitano e penso che siamo entrati in una fase decisiva della nostra lotta. Dopo aver bruciato la chiesa greca (bizantina) e distrutto il santuario mariano dei latini, hanno saccheggiato tutto e distrutto il mio convento e quello dei protestanti. Hanno fracassato e bruciato tutti i simboli religiosi del villaggio e imbrattato con bestemmie contro la nostra religione. Cercano di sopprimerci, ma qualsiasi cosa facciano, non potranno nulla contro la nostra fede fondata sulla Roccia di Cristo. Voglia Dio che Egli ci conceda la grazia di provare l’autenticità del nostro amore per Lui e per gli altri. Siate certi che io offro la mia vita con tutto il cuore per il bene la Chiesa e la pace nel mondo e soprattutto nella nostra amata Siria».
A marzo, ancora un messaggio accorato al vescovo: «Si avvicina il tempo in cui dovremo cercare un luogo di rifugio contro i bombardamenti. Di notte, cerchiamo di rimanere svegli per paura di coloro per i quali tutto ciò che porta il nome di cristiano è un anatema. Eppure, nonostante tutte queste tenebre, io percepisco la presenza misteriosa del sole. Tutto ciò che io spero da Dio è che la Sua Presenza sia vittoriosa sulle tenebre che fan sì che siamo arrivati a questo. Preghi per noi».
Uno degli ultimi messaggi, dei primi di giugno, è indirizzato alle suore del Rosario, presenti con lui nella parrocchia di Ghassanieh: «Care Sorelle, quando comprendiamo l’ampiezza e la preziosità che rappresenta l’amore nella nostra vita consacrata all’Amore stesso, ci è facile comprendere la profondità e il mistero della sofferenza che ci porta a sua volta alla comprensione del Cristo Crocifisso. Egli ci ha insegnato che l’amore ha un sinonimo chiamato sofferenza».
«Padre François – conclude fra Firas – era un uomo mite e ha donato la sua vita per il Vangelo. Aveva scelto di restare a fianco dei cristiani nonostante tutto. La sua testimonianza fino all’effusione del sangue servirà certo a rafforzare la fede dei cristiani di Siria e sarà seme di conversione e di pace».