Dopo la netta messa al bando dei Fratelli Musulmani in Egitto, ora anche Hamas, il movimento islamista che governa nella Striscia di Gaza, è oggetto di contestazioni. Senza far troppo rumore, all’inizio dell’estate è nata a Gaza l’ala palestinese del Tamarrud. Il suo obiettivo è di coinvolgere il popolo per costringere Hamas a farsi da parte.
(Milano/c.g.) – Dopo la netta messa al bando dei Fratelli Musulmani in Egitto, ora anche Hamas, il movimento islamista che governa nella Striscia di Gaza, è oggetto di contestazioni.
Senza far troppo rumore, all’inizio dell’estate è nata a Gaza l’ala palestinese del Tamarrud, il grande movimento di protesta egiziano che ha portato, il 30 giugno, all’oceanica mobilitazione contro il presidente Mohamed Morsi e alla sua deposizione. Nel corso dei mesi il Tamarrud palestinese sarebbe cresciuto: l’agenzia stampa palestinese Maan ha riferito che lo scorso 5 settembre una delegazione di Gaza è stata accolta al Cairo dai responsabili egiziani del movimento. Scopo dell’incontro, secondo Mahmoud Badr, responsabile del Tamarrud egiziano, sarebbe stato quello di «trasferire l’esperienza e i meccanismi del movimento nella Striscia di Gaza».
«Se Hamas non vuole abbandonare il potere quando il popolo lo chiede, chiederemo aiuto all’Egitto- ha dichiarato il leader del Tamarrud palestinese Abdul-Rahman Abu Jamea, intervistato dal giornale libanese al Akhbar -. Abbiamo intenzione di chiedere un incontro con i suoi vertici militari al più presto». Secondo al Akhbar sarebbe in preparazione una conferenza del Tamarrud palestinese che dovrebbe svolgersi in ottobre, al Cairo. La conferenza, che dovrebbe intitolarsi Insieme per l’unità della Palestina , dovrebbe affrontare anche il tema di come portare al successo Tamarrud a Gaza. Secondo Al Akhbar anche l’Autorità Nazionale Palestinese – controllata dal più laico movimento Fatah e perciò ostile a Hamas – sosterrebbe lo sforzo del Tamarrud della Striscia di Gaza.
«Non falliremo – ha affermato Abu Jamea –: se la gente di Gaza non scenderà in strada per paura della repressione, proporremo un referendum per capire se il popolo vuole Hamas o no. Se la risposta sarà no, dichiareremo la Striscia un territorio ribelle, sotto un governo delegittimato da anni». In questo caso, il movimento potrebbe chiedere l’aiuto dell’esercito egiziano, considerato il principale salvatore dalla «tirannia di Hamas».
In Egitto, anche dal punto di vista mediatico in questi giorni sono aumentati gli interventi volti a screditare Hamas: secondo il giornale di Stato egiziano al Ahram, Hamas sarebbe coinvolto nell’attentato contro il ministro dell’Interno egiziano, Mohammed Ibrahim, avvenuto lo scorso 5 settembre. Giovedì scorso, poi, Hamas ha rigettato le accuse trasmesse dalla tivù di Stato egiziana secondo cui l’ala militare di Hamas, le brigate Izz al-Din al-Qassam, avrebbero fornito 400 mine ai militanti islamici del Sinai e li avrebbe istruiti su come fabbricare auto-bomba. «È totalmente falso», ha ribattuto Fawzi Barhoum, portavoce del movimento islamico.
Yousef Rizqa, consigliere politico del primo ministro di Hamas, giovedì ha affermato di non credere che l’esercito egiziano possa lanciare un’offensiva militare contro la striscia di Gaza. «I legami storici e geografici tra i due Paesi precludono una simile possibilità», ha dichiarato Rizqa all’agenzia stampa di Hamas, Al-Ra’y, accusando poi l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), di lavorare per creare ostilità tra i due Paesi. «Il costante contatto che manteniamo con i servizi segreti egiziani priva di ogni fondamento queste voci. Invece, esattamente come nel caso della Fratellanza musulmana, ci sembra che Hamas sia stato demonizzato da alcuni elementi palestinesi legati alla nostra ambasciata al Cairo e dai partiti leali al nuovo regime».