La crisi siriana sta mettendo a dura prova anche l’economia dei Paesi vicini e in Giordania suona il campanello d’allarme. Il ministro dell’Interno giordano, Hussein Majani, nel corso di una visita ufficiale in Francia, ha dichiarato che il continuo arrivo di profughi sta dissanguando le già limitate risorse del regno ashemita. Disagi economici per la popolazione.
(Milano/c.g.) – La crisi siriana sta mettendo a dura prova anche l’economia dei Paesi vicini e in Giordania suona il campanello d’allarme. Il ministro dell’Interno giordano, Hussein Majani, mercoledì 18 settembre, nel corso di una visita ufficiale in Francia, ha dichiarato che la crisi siriana ha un profondo impatto sulle infrastrutture e sui servizi del suo Paese, e che il continuo arrivo di profughi sta dissanguando le già limitate risorse del regno ashemita.
Sono 531 mila i siriani giunti fortunosamente in Giordania in poco più di un anno e mezzo e il loro arrivo ha modificato radicalmente gli equilibri demografici del Paese: i profughi siriani, infatti, oggi rappresentano il 7,3 per cento del totale della popolazione. Così, in pochi mesi la fascia dei più poveri è aumentata di sette punti percentuali ed il welfare del regno ashemita sta rischiando seriamente il collasso. Nel deserto giordano, al confine con la Siria, si trova il campo profughi di Zaatari, oggi considerato il più grande campo profughi del mondo. In poco più di un anno Zaatari è lievitato al punto di ospitare oltre 120 mila siriani fuggiti a causa del conflitto. Per numero di abitanti è Zaatari diventato la quarta città del Paese. Tuttavia la maggior parte dei profughi vive fuori dai campi attrezzati. Un terzo di loro è concentrato ad Amman. Più della metà (53 per cento) sono minori; un terzo (35 per cento) sono donne che per vari motivi vedono minacciata la propria integrità.
A Parigi il ministro Majani, incontrando il suo omologo francese Manuel Valls, ha dichiarato che il regno ashemita ha bisogno di un più consistente aiuto internazionale per affrontare l’emergenza rifugiati.
La crisi economica giordana, d’altra parte, ha dato nuovo fiato alla protesta interna al Paese. Una protesta che – iniziata nel 2011 assieme alle primavere arabe dei Paesi vicini – in Giordania non è mai veramente esplosa, ma non si è nemmeno mai interrotta. Secondo il quotidiano giordano The Daily Star lo scorso venerdì centinaia di attivisti sono scesi in piazza nelle città meridionali di Maan, Tafileh e Karak in una serie di dimostrazioni, guidate da attivisti di sinistra e indipendenti. I manifestanti protestavano contro il fallimento delle politiche economiche del governo, contro l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità (contestando in particolare il progetto governativo di aumentare il costo dell’elettricità e togliere il sussidio sulla farina), e chiedevano radicali riforme economiche e politiche.
I manifestanti hanno anche chiesto le dimissioni del primo ministro Abdallah Ensour e il rilascio di dozzine di persone arrestate nel corso di dimostrazioni avvenute negli ultimi due mesi. Per la terza settimana consecutiva gli organizzatori delle manifestazioni hanno preferito evitare di scendere in strada ad Amman.