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Domande sulla pace a Yom Kippur

di Giorgio Bernardelli
12 settembre 2013
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C'è una coincidenza singolare quest'anno nel calendario di Israele: al tramonto del 13 settembre comincia lo Yom Kippur, il giorno dell'espiazione, uno dei momenti più sacri del calendario ebraico. Che quest'anno coincide con il ventesimo anniversario della firma degli Accordi di Oslo tra israeliani e palestinesi. L'anniversario delle speranze di pace andate in fumo...


C’è una coincidenza singolare quest’anno nel calendario di Israele: al tramonto del 13 settembre comincia lo Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, uno dei momenti più sacri del calendario ebraico. Si tratta infatti della giornata in cui si digiuna in segno di pentimento per il male compiuto, impegnandosi a rimediare le offese verso il prossimo. Solo che quest’anno il 13 settembre cade anche il ventesimo anniversario della cerimonia durante la quale – sul prato della Casa Bianca a Washington, davanti a Bill Clinton – Yitzhak Rabin e Yasser Arafat firmarono gli Accordi di Oslo, la dichiarazione che in quel momento tutti pensavamo potesse aprire la strada verso la pace in Medio Oriente.

L’accostamento è intrigante: l’anniversario delle speranze di pace andate in fumo (e probabilmente oggi non più proponibili in quella forma) cade propria nella giornata del pentimento. Un’abbinata che un’analista acuto come Akiva Eldar, fino a poco tempo fa storica firma di Haaretz e oggi (pensionato) commentatore per il sito internazionale Al Monitor (detto per inciso: uno dei siti più interessanti oggi sul Medio Oriente) associa lucidamente anche a un terzo riferimento: quello alla guerra dello Yom Kippur, il conflitto del 1973, un vero e proprio spartiacque per la storia dello Stato di Israele. La guerra che lo Stato degli ebrei non ha perso, ma nemmeno vinto, costata un prezzo di sangue molto alto. È da allora – annota Eldar – che nello stesso linguaggio popolare a Gerusalemme e Tel Aviv uno yom kippur è diventato il sinonimo di un fallimento. E quindi la domanda si ribalta: anche gli Accordi di Oslo sono stati un fallimento?

Con buona pace di Rabin, l’israeliano medio oggi pensa esattamente questo. Ma così non vede più – scrive Eldar, nel suo articolo che rilanciamo sotto – il filo rosso che legò la guerra dello Yom Kippur al 13 settembre 1993. Secondo alcune testimonianze, infatti, a portare Rabin al tavolo del negoziato fu la convinzione che Israele non poteva perdere un’altra occasione per il dialogo, come aveva fatto Golda Meir prima del conflitto del 1973. Fu la convinzione che la pace potesse attendere a portare a una nuova guerra, costata molto cara a tutti.

Guardare – quindi – alla storia degli ultimi vent’anni in Israele e Palestina con gli occhi dello Yom Kippur: è questa, dunque, la sfida vera di quest’anno. Accettando, però, la fatica di mettersi sul serio in discussione: lo suggerisce in una bella riflessione rav Arik Ascherman sul sito di Rabbis for Human Rights. Prende le mosse da una preghiera ebraica che dice: «Purifica i nostri cuori per servirTi veramente». E si chiede: che cosa vuole dire quel veramente? Lo applica prima di tutto a una realtà come la sua, cioè a una delle associazioni più impegnate nella difesa dei diritti di tutti in Terra Santa, palestinesi compresi. Anche noi – si chiede – siamo sicuri di aver sempre messo la dignità di ogni persona davanti a qualsiasi causa?

«La preghiera per il mio popolo e il mio Paese in questo Yom Kippur – scrive rav Ascherman – è che sappiano distinguere tra i bisogni essenziali e i bisogni che poggiano sulla Parola della Falsità. E, riguardo a questi ultimi, prego che in questa nostra Terra non udiamo più frasi come: “Non è giusto, ma i nostri bisogni vengono prima”. Prego che possiamo comprendere che c’è spazio per portare gli ebrei nel Neghev e far fiorire la terra senza spogliare i beduini. Che possiamo costruire un’economia sana che si prende cura anche di chi è più povero e più debole in mezzo a noi. Che sia possibile far crescere una società ebraica senza chiudere le porte ai richiedenti asilo. Che sia possibile vivere un’esistenza pienamente ebraica nella nostra terra d’origine senza opprimere il popolo palestinese. Non solo è possibile, ma dovremmo anche chiederci: che razza di ebraismo stiamo vivendo se ci comportiamo in maniera diversa?».

Domande serie per questo Yom Kippur dell’anno 5774 vissuto in terra di Israele.

Clicca qui per leggere l’articolo di Akiva Eldar

Clicca qui per leggere la riflessione di rav Arik Ascherman

 

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