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Turchia, ong al lavoro a sostegno dei rifugiati siriani

Marta Fortunato
6 agosto 2013
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Turchia, ong al lavoro a sostegno dei rifugiati siriani
In questa foto d'archivio, un bimbo siriano occhieggia da una tenda del campo profughi Acnur a Islahiye, nel sud della Turchia. (foto Onu/Mark Garten)

Dare sostegno concreto ai rifugiati siriani (forse 700 mila) bisognosi di aiuto. Distribuire beni alimentari e sanitari di prima necessità a chi è scappato dalla guerra, senza effetti personali né risparmi. Fornire assistenza psico-sociale. Questi i principali obiettivi dell'associazione turca Supporto alla Vita, che opera nel sud della Turchia.


(Milano) – Dare sostegno concreto ai rifugiati siriani bisognosi di aiuto. Distribuire beni alimentari e sanitari di prima necessità a chi è scappato, senza effetti personali né risparmi, dalla sanguinosa guerra siriana. Fornire assistenza psico-sociale a centinaia di uomini, donne e bambini testimoni o vittime di bombardamenti, uccisioni e torture. Questi i principali obiettivi dell’associazione turca Supporto alla Vita, che opera nel sud della Turchia, nelle regioni di Antakya e Gaziantep, per fornire soccorso umanitario a migliaia di siriani che hanno trovato rifugio nell’area.

Un progetto nato ad ottobre 2012 come risposta al progressivo peggioramento della crisi siriana, con un afflusso di profughi in costante aumento. Secondo gli ultimi dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), sono più di un milione e 700 mila i siriani che hanno lasciato il proprio Paese trovando rifugio in Turchia, Libano, Giordania e Iraq.

La Turchia ospita più di 390 mila siriani regolarmente registrati, di cui 200 mila nei 20 campi profughi amministrati dall’Agenzia governativa per la gestione dei disastri e delle emergenze (Afad) e oltre 190 mila al di fuori. Tuttavia, come sottolinea l’ultimo rapporto pubblicato da Supporto alla Vita a luglio 2013, in queste statistiche non sono computati coloro che vivono all’esterno dei campi profughi e che non sono registrati presso l’Acnur. Si parla di oltre 300 mila siriani, che farebbero salire il numero totale di rifugiati a 700 mila nella sola Turchia.

Come spiega lo staff locale di Supporto alla Vita, la maggior parte dei profughi che vive nelle città nel sud della Turchia ha gravi problemi economici e un estremo bisogno di ogni tipo di assistenza, a partire dai beni di prima necessità. Non potendo avere un regolare permesso di lavoro, i siriani sono spesso costretti a lavorare nel settore agricolo o in quello edile per stipendi giornalieri che non superano le 15-20 lire turche (l’equivalente di 6-8 euro), un guadagno che non è sufficiente per il mantenimento di un’intera famiglia. Per rispondere ai bisogni della popolazione siriana, Supporto alla Vita ha avviato nell’area di Antakya due diversi programmi di distribuzione di generi alimentari e sanitari. Da ottobre 2012 sono stati distribuiti alle famiglie più bisognose oltre 2.000 vestiti per adulti e bambini, 8.000 coperte e prodotti sanitari e quasi 9.000 scatoloni di cibo.

Ma l’attività dell’associazione non si ferma a questo. Da gennaio 2013 nel villaggio di Altinozu, nella regione di Antakya, è stato inaugurato un centro comunitario che mira a ridurre gli effetti psicologici della guerra e a creare un legame con la popolazione locale turca. Arte, teatro, giochi educativi per bambini, musica, corsi di lingua e training informativi sul sistema sanitario ed educativo turco. Un modo per fornire un supporto psicologico e sociale alle famiglie più disagiate e alla popolazione più vulnerabile.

La sfida più grande rimane il tentativo di integrare la popolazione ospitante con quella ospitata. Tuttavia c’è ancora tanta diffidenza e mancanza di fiducia da entrambe le parti. È un esperimento che richiede tempo, energia e buona volontà.

I turchi sono ancora molto sospettosi e spaventati dal grande afflusso di profughi e i rifugiati siriani non sono interessati a fare attività condivise o a seguire corsi di turco che li potrebbero avvicinare alla nuova realtà in cui si trovano a vivere. La loro unica speranza è quella di poter ritornare in Siria il prima possibile.

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