È stato definito un rivoluzionario musicista ebraico latino contemporaneo, ma a Yehouda Julio Glantz le definizioni sembrano stare strette. Certamente la musica che compone e che suona è qualcosa di molto innovativo, che prende spunti dalla musica classica e fonde il ritmo argentino con le più tradizionali melodie ebraiche e hassidiche. Suona perfettamente quattordici strumenti diversi, e si dice sia il primo ad aver introdotto il charrango (strumento tipico boliviano, simile a una piccola chitarra) nella cultura musicale ebraica.
Capita di incontrarlo, questo artista dal volto radioso, nelle serate un po’ improvvisate di Gerusalemme, dove i musicisti si danno appuntamento per una jam-session casalinga alla luce soffusa di qualche lampada. Come afferma Yehouda: «A Gerusalemme ci sono più artisti che pubblico». E in effetti queste serate si compongono di venti persone e venticinque strumenti, che passano di mano in mano e sono suonati tutti con eguale maestria. Sono serate in cui emerge l’anima cosmopolita di Gerusalemme, dove le note di una rumba si mescolano con i ritmi balcanici e klezmer (un genere tipico della musica ebraica; il termine è la fusione delle parole kley e zemer, letteralmente «strumenti di canto» – ndr) dove si parla francese, ebraico, italiano, e all’interno della stessa canzone si passa senza quasi rendersene conto dallo spagnolo all’arabo all’inglese.
«Sono momenti – dice Yehouda – d’allegria pura, dove un musicista conosce se stesso e si connette con Dio».
La sua fede di ebreo giunto da lontano è una fede fresca, sincera, priva di condizionamenti. Che crede nella forza anche spirituale della musica, come mezzo per avvicinare le persone tra loro e per avvicinare il cielo alla terra.
Ispirazione divina. Per questo ritiene importante, per un artista e un musicista in particolare, l’introspezione e l’attenzione al divino: «Ogni mattina mi alzo, cammino quattro o cinque chilometri nel parco vicino a casa mia, poi faccio un’ora di meditazione. Mi libero di tutti i pensieri cattivi, rendo grazie a Dio, e a quel punto sono pronto a cominciare la mia giornata di compositore». Con una passione per la musica che coltiva fin dall’infanzia, l’ormai quasi cinquantenne Yehouda Julio continua a suonare, a comporre e a portare la sua musica in giro per il mondo.
Racconta sorridente e modesto: «La composizione è un regalo gratuito del Creatore. È un momento che può arrivare a metà della notte, e bisogna essere pronti ad accoglierlo». Dal suo piccolo studio incastonato nelle stradine di Nachlaot, quartiere ebraico a due passi dal grande mercato di Machane Yehouda, a Gerusalemme, le sue parole sembrano prendere vita quando dice, mescolando l’italiano allo spagnolo: «La notte è per i musici, il giorno è buono per il banquero (il banchiere)». Ma il processo di composizione non si risolve in un momento, può durare anni, e attraversare diversi luoghi. «C’è una canzone che ho scritto in tre Paesi diversi – continua Yehouda. Ho iniziato in Sudafrica, ricordo l’alberghetto in cui mi trovavo con altri musicisti, mi venne l’ispirazione qualche giorno prima di ripartire per Gerusalemme. Arrivai a casa e la scrissi, ma non era completa. La lasciai così, finche molto tempo dopo mi arrivò una cartolina da un amico messicano. Rimasi stupefatto perché le parole che c’erano stampate sopra erano perfette per la melodia scritta due anni prima. Partii poi per un viaggio in Australia, al seguito di amici, e una sera durante una festa mi portarono una chitarra: a quel punto mi uscì la canzone! Appena tornai a Gerusalemme la scrissi e la registrai».
Verso ogni dove. Le sue canzoni prendono spesso in prestito parole dai Salmi del Re David, e le melodie dipendono certamente dallo stato d’animo al momento della scrittura, anche se in tutte si ritrova uno slancio verso l’armonia e la gioia.
Ma il mestiere di musicista e compositore non è tutta poesia: «Bisogna allo stesso tempo avere una preparazione tecnica per registrare, una conoscenza giuridica, bisogna sapere come promuovere i propri lavori… è un lavoro a tempo pieno, a volte anche stressante. Per questo spesso devo allontanarmi da Gerusalemme e dalla routine, per trovare nuovi stimoli e pacificare il mio animo tzigano».
Così Yehouda viaggia molto, a volte da solo a volte accompagnato da altri musicisti. Ha vissuto e studiato in Argentina e in Brasile, prima di giungere a Gerusalemme, e ha visitato con la sua chitarra e il suo fedele charrango i quattro angoli del mondo. Per qualche mese si è fermato anche in Italia. «Da ogni posto imparo qualcosa, e mi piace dire che attraverso la mia musica porto il mondo a Gerusalemme, e porto Gerusalemme al mondo».