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Un passaporto ambito

di Giuseppe Caffulli
6 giugno 2013
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Sarebbero 2.500, solo nel biennio 2008–2010, i palestinesi di Gerusalemme Est che hanno fatto richiesta per ottenere la cittadinanza israeliana. Ben 7 mila domande, se si considera l’intero periodo 2001-2010, secondo il rapporto annuale dell’ong International Crisis Group. Le ragioni? Soprattutto il desiderio di superare uno stigma sociale, l’insicurezza economica e la discriminazione che tocca gli abitanti della parte araba di Gerusalemme.


Sarebbero 2.500, solo nel biennio 2008–2010, i palestinesi di Gerusalemme Est che hanno fatto richiesta per ottenere la cittadinanza israeliana. Ben 7 mila domande, se si considera l’intero periodo 2001-2010, secondo il rapporto annuale dell’ong International Crisis Group. Le ragioni? Soprattutto il desiderio di superare uno stigma sociale, l’insicurezza economica e la discriminazione che tocca gli abitanti della parte araba di Gerusalemme. Vengono indicate, tra le motivazioni, anche la paura di non poter più raggiungere Gerusalemme a causa del muro di separazione, ma anche il desiderio di potersi muovere più liberamente e, soprattutto, di garantire un futuro migliore ai propri figli.

Tra i tanti confini che dividono la Città Santa, uno di questi passa giusto a ridosso della Porta di Damasco, dove le voci del suk arrivano più distinte e il profumo di falafel invade le strade. Secondo fonti giornalistiche, sarebbero ormai 12 mila i palestinesi di Gerusalemme Est con la cittadinanza israeliana, nonostante oltre un terzo delle domande vengano respinte.

Con quali criteri i palestinesi di Gerusalemme est possono fare richiesta per avere la cittadinanza di Israele? Secondo fonti del ministero degli Esteri israeliano, riportate dall’agenzia dell’Onu Irin, la cittadinanza può essere concessa a coloro che ne abbiano i requisiti, cioè la residenza continuata e documentata nei confini della municipalità di Gerusalemme e una fedina penale immacolata. Sta poi di fatto che, in ragione della sicurezza, ogni posizione viene vagliata con attenzione caso per caso. Già i documenti che certificano la residenza nella Città Santa (la cosiddetta Carta di Gerusalemme) sancisce uno status di precarietà. Il documento può infatti essere revocato per varie ragioni, tra queste (oltre a quelle di ordine pubblico) anche una permanenza non continuativa nei confini della municipalità. Un provvedimento attuato, tra il 1995 e il 2000, per 3 mila casi. Secondo i dati dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, tra il 2006 e il 2011 sarebbe stato revocato il documento di residenza a 7 mila palestinesi di Gerusalemme. Anche con questo dato si spiega l’aumento delle domande per ottenere la cittadinanza israeliana. Oggi, entro i confini del municipio di Gerusalemme, vivrebbero circa 50 mila palestinesi. Se non mancano i sostenitori convinti della causa dello Stato palestinese, molti aspirano all’ottenimento del passaporto israeliano.

Il fatto stesso di essere cittadini dello Stato d’Israele non preserva però i palestinesi dalle discriminazioni quotidiane, per superare le quali il cammino sembra ancora lungo e faticoso. I cittadini israeliani ebrei godono infatti di privilegi nella vita pubblica e nella carriera, nell’accesso alla terra e ai servizi sociali…

Non a caso, qualche giorno fa, Haaretz denunciava le discriminazioni subite dai laureati arabi israeliani nel mondo del lavoro. «Gli arabi israeliani sono il 22 per cento della popolazione e soffrono discriminazione ed esclusione sociale. Un fatto dannoso e inaccettabile», scriveva il quotidiano. Al punto che perfino il governo e la Banca centrale d’Israele sono arrivati a sostenere la necessità che, per il bene della società e dell’economia israeliana, questo ostracismo finisca presto. Un atteggiamento, quello verso i cittadini israeliani di origine palestinese, che presenta a volte risvolti paradossali. A Gerusalemme mancano medici, infermieri, dentisti, fisioterapisti e tecnici di laboratorio in grado di comunicare in arabo. Ma chi ha studiato nelle università di Gerusalemme est non è accettato negli ospedali pubblici. 

(Twitter: @caffulli)

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