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I media israeliani e libanesi soppesano il nuovo presidente iraniano

Carlo Giorgi
18 giugno 2013
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I media israeliani e libanesi soppesano il nuovo presidente iraniano
Il neoeletto presidente iraniano Hassan Rouhani.

Nelle elezioni del 14 giugno scorso il moderato Hassan Rouhani ha sbaragliato gli avversari conservatori al primo turno. Il suo insediamento alla presidenza della repubblica potrebbe segnare un cambiamento sostanziale per l’Iran e per tutto il Medio Oriente. Il punto di vista di alcuni giornali israeliani e libanesi.


(Milano) – Risultato storico alle elezioni presidenziali iraniane che si sono svolte lo scorso 14 giugno: Hassan Rouhani, religioso di 64 anni, unico candidato moderato in corsa, ha vinto al primo turno con quasi il 51 per cento dei voti (oltre 18,6 milioni di preferenze), sconfiggendo i cinque candidati conservatori.

La vittoria di Rouhani segna un cambiamento sostanziale per l’Iran e per tutto il Medio Oriente; e la fine dell’era dominata da Mahmoud Ahmadinejad (rimasto presidente per otto anni), potrebbe portare nuove speranze di pace all’intera regione.

Il fatto che queste speranze siano concrete sembra confermato dalla reazione di cauto ottimismo espressa anche da diversi media israeliani, sempre estremamente prudenti quando si parla di Iran.

Primo motivo di speranza è che il successo del nuovo presidente sia stato voluto da una nuova generazione di iraniani: «Il punto di svolta è opera della generazione più giovane – commenta un editoriale del quotidiano Haaretz –, nata dopo lo scoppio della rivoluzione islamica (del 1979 – ndr) e comunque distante dalla religione e dalla devozione ideologica, desiderosa invece di un futuro felice nel proprio Paese. Queste aspirazioni, assieme alle condizioni difficilissime imposte dal mondo con le sanzioni economiche, hanno generato lo sconvolgimento che oggi non è più nascosto agli occhi del leader supremo».

Secondo motivo di speranza: ora la diplomazia ha qualche possibilità. «Se fino ad oggi i diplomatici occidentali avevano l’impressione di sbattere la testa contro un muro fortificato, dovendo affrontare una corrente di retorica belligerante che faceva scivolare l’Iran in un pericolo concreto – spiega Haaretz -, la diplomazia oggi potrebbe avere una possibilità migliore. Il sospetto e la sfiducia delle intenzioni iraniane sono il risultato di una lunga ed amara esperienza, ma a questo punto non c’è ragione di pensare che la politica iraniana non possa cambiare. Il popolo iraniano non è nemico di Israele o dell’Occidente. Bisogna dare qualche credito agli elettori di Rouhani, che hanno dimostrato tanta forza. A Israele non è chiesto di essere ingenuo, ma al tempo stesso non deve neppure indebolire le speranze della diplomazia».

«Esiste un’ampia schiera di elettori iraniani che preferiscono uno sviluppo dell’economia, e un congelamento delle sanzioni all’arricchimento dell’uranio – scrive invece nella sua edizione on line il quotidiano Yedioth Ahronoth -. Questa è anche la posizione di Rouhani, che non è stata censurata durante la campagna elettorale; e la mancata censura è il segno che è la sua posizione è condivisa dal leader supremo Khamenei. Un’altra ragione di ottimismo è l’incredibile stile democratico con cui si sono svolte le elezioni. Questo significa che il regime degli ayatollah e le Guardie rivoluzionarie hanno appreso la lezione delle elezioni 2009, ed è cresciuta la paura che l’aggravarsi della crisi economica possa portare i loro stessi sostenitori a sollevarsi contro di loro. L’ottimismo provocato dall’elezione di Rouhani è giustificato: infatti, il presidente iraniano è il responsabile operativo del regime, colui che determina la qualità e il ritmo delle riforme indicate da Khamenei. Detta la politica economica, controlla la spesa complessiva del Paese e deve rispondere del suo operato solo al parlamento e alla Guida suprema. È una figura estremamente influente». L’unico timore, conclude il giornale, è che Rouhani convinca l’Occidente a limitare le sanzioni, prendendo tempo per portare comunque avanti il programma nucleare, secondo le indicazioni della guida suprema. «Dovremmo essere molto contenti per il popolo iraniano e per l’Occidente; ma dobbiamo anche assicurarci che Obama e Catherine Ashton, responsabile della politica estera dell’Unione Europea, – conclude Yedioth Ahronoth – non cada nella trappola che Rouhani potrebbe tendere, su ordine di Khamenei».

Anche il quotidiano libanese al Akhbar vede diversi motivi di novità e speranza, segnalando come queste elezioni segnino il declino del dominio dell’aristocrazia religiosa in Iran, rappresentata dal clero formato alla scuola della città di Qom (dove Khomeini pose a lungo la sua dimora): «Il declino dell’aristocrazia religiosa si vede anche dal fatto che nessuno degli otto candidati alle presidenziali proveniva da Qom – spiega al Akhbar – . Un’altra grande novità è stata il libero accesso dei candidati ai media, anche al di fuori delle tribune elettorali. Questo ha favorito la calma, spostando la tensione dalle piazze alla tivù».

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