Le rivoluzioni in Nord Africa hanno mostrato al mondo il potere inarrestabile di Internet. Ma una cosa è l’immediatezza e condivisione della Rete, altro è costruire una visione politica per Paesi che da 90 anni cercano faticosamente la propria identità, dice in questo saggio controcorrente il sociologo algerino Khaled Fouad Allam.
Molto è stato scritto sulle Primavere arabe sull’onda della cronaca. Ma per Khaled Fouad Allam – studioso maghrebino, docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste e oggi cittadino italiano – la rivolta a Sidi Bouzid, o quella al Cairo, non nascono certo nel dicembre 2010. Occorre andare indietro nel tempo, partire dal fallimento della breve stagione del riformismo ottomano avviato nel 1839 con le Tanzimat. E chiedersi perché il mondo arabo non abbia avuto il suo Sessantotto. O perché la guerra dei Sei giorni del 1967, con il trauma inflitto non solo ai palestinesi, non abbia avuto nel Maghreb e nel Mashreq quel potere trasformativo, paradigmatico che ha avuto per l’Occidente la guerra in Vietnam.
Da questi assunti, non privi di accenti autobiografici, parte Khaled Fouad Allam per spiegare che oggi avere vent’anni a New York, Parigi o Roma è ben diverso che «avere vent’anni a Tunisi e al Cairo» come recita il titolo di questo libro documentatissimo e controcorrente. Un testo che, con una continua tensione fra la sponda sud (Algeri, Tunisi, Il Cairo) e quella nord del Mediterraneo (Parigi, Roma, Berlino), esplora la produzione letteraria, artistica, musicale – dal genere rai al rap – che ha tenuto banco in Nord Africa negli ultimi decenni. E si chiede quali siano le categorie culturali e mentali con cui i giovani guardano se stessi in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Yemen. Perché non c’è dubbio, rimarca l’Autore, che manchino nelle proteste del 2011 quegli elementi che erano stati fortemente distintivi, centrali, nel ’68 a Parigi: l’utopia, l’ideologia, l’entusiasmo, il conflitto generazionale. Tali tratti, confluiti in quegli anni nella produzione letteraria, musicale, filosofica, teatrale in Francia e negli Stati Uniti, dice Allam, sono stati del tutto assenti nelle rivolte del 2011. Altre sono le esigenze e i mezzi con cui sono stati espressi: la letteratura, il rap, i blog.
Il fatto è, secondo l’Autore, che in questa fase il web non produce pensiero: si colloca nella dimensione temporale dell’immediatezza e della dilatazione, alla quale è estranea qualsiasi possibilità di approfondimento. È anche per questo che la rivolta non ha generato dei leader. Quel che manca, rimarca Allam, è una riflessione sul tempo, anzi di «quel tempo nel tempo» che è il vero luogo della crescita personale. I giovani protagonisti delle rivolte sono intrappolati fra le difficili condizioni esistenziali – le stesse in quasi tutto il mondo arabo – e il desiderio di un cambiamento che i loro genitori non sono riusciti a innescare. La vera questione è dunque come uscire dall’impasse antico/moderno inventando qualcosa di nuovo.
Testo magnificamente scritto, frutto di una riflessione non episodica sul mondo arabo, questo saggio sembra condensare la parabola esistenziale ed intellettuale di uno studioso che ha il raro privilegio di vivere a cavallo di due mondi. Tra le pagine più illuminanti figurano quelle che spiegano come le rivolte del 2011 siano l’esito delle contraddizioni mai risolte del mondo arabo: la separazione fra fede e politica, la libertà di religione – che include anche la libertà di non credere – nell’Islam, la grande questione delle minoranze religiose, in particolare in Medio Oriente, l’accettazione o meno dello Stato di Israele. E soprattutto quella che per Foaud Allam è la questione cruciale, la cartina di tornasole del successo delle Rivoluzioni: l’effettiva parità della donna.
Forse anche per ribadire quanto l’applicazione della sharia e quindi la condizione della metà delle popolazioni costituiscano la vera posta in gioco nelle turbolenze del Nord Africa e del Medio Oriente, il sociologo algerino pubblica in appendice (per la prima volta in Italia) la traduzione della bozza di Costituzione per lo Stato islamico presentata dai salafiti tunisini. Un testo inquietante, che ribadisce come i diritti delle donne non possano configurarsi che entro lo schema islamico e la sharia. È un bene che anche l’opinione pubblica italiana, così distratta rispetto a quanto sta avvenendo al di là del Mediterraneo, conosca quanti ostacoli si frappongono alla costruzione di quella democrazia che passerà – che il mondo arabo-islamico lo voglia o no – attraverso il riconoscimento delle minoranze, dei diritti dell’uomo e dell’uguaglianza fra uomo e donna.