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Non mentire, papà!

di Elisa Ferrero
5 maggio 2013
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Mesi fa, sui social network, è circolato un video che mostrava alcuni agenti della polizia egiziana intenti a malmenare brutalmente un uomo completamente nudo. Il video ha fatto una breve comparsa anche fra le notizie dei nostri telegiornali, come prova che la polizia egiziana non ha mutato i suoi metodi dopo la caduta di Mubarak. Il seguito della vicenda non ce l'hanno raccontato, ma val la pena di conoscerlo perché è molto significativo...


Qualche mese fa, sui social network, è circolato un video raccapricciante che mostrava alcuni agenti della polizia egiziana mentre trascinavano e malmenavano brutalmente un uomo completamente nudo. Il video ha fatto una breve comparsa anche fra le notizie dei nostri telegiornali, come prova che la polizia egiziana non ha mutato i suoi metodi dopo la caduta del presidente Hosni Mubarak. La seconda – e più sconcertante – parte della storia, tuttavia, non è riuscita a raggiungere gli onori della cronaca su questa sponda del mare. In Egitto, invece, è continuata per giorni e giorni, con numerosi colpi di scena.

L’uomo malmenato era Hamda Saber, un umile muratore di 48 anni, originario dell’Alto Egitto, che quel giorno si trovava nei paraggi di una manifestazione di protesta contro il presidente Mohammed Morsi. Dopo il pestaggio, Saber viene portato all’ospedale della polizia di Nasr City, al Cairo, da dove, una volta ripresosi, racconta ai giornali una storia incredibile, dicendo che la polizia, in realtà, lo avrebbe protetto dai manifestanti che lo avevano aggredito e denudato, e che la stessa polizia, in quel momento, lo starebbe curando con tutti i riguardi. L’uomo, in effetti, non sa ancora che esiste un video che lo smentisce. Anche la moglie, sempre accanto al suo letto, sostiene la stessa versione, contraffatta, del marito in un noto programma tivù, nel corso di una telefonata durante la quale si sente distintamente che qualcuno le suggerisce le «battute».

Una storia di umiliazione fra le tante, come spesso ne accadevano ai tempi di Mubarak e come continuano, purtroppo, ad accadere anche oggi. A quel punto, però, succede l’inaspettato: i figli di Saber si ribellano, denunciando pubblicamente le pressioni che la polizia avrebbe esercitato sul padre. Chiedono che questi sia sottratto alla custodia medica della polizia e che gli sia accordata protezione, affinché possa essere libero di dire tutta la verità sulla violenza subita. Il padre, tuttavia, si ostina a ripetere la sua inverosimile versione dei fatti, mentre il Paese inizia a dividersi fra chi comprende, nonostante tutto, il suo agire e chi lo condanna per mancanza di coraggio. Nessuno gli crede e i figli non cedono, perseverando nella loro denuncia pubblica su tutti i mezzi d’informazione.

La vicenda raggiunge il culmine in un drammatico confronto telefonico in diretta tivù fra Saber e la figlia diciottenne, Randa. Il padre tenta in tutti i modi di convincere la ragazza a ritrattare le sue accuse contro la polizia. Usa parole violente contro di lei, minacciandola di disconoscerla o addirittura di darle fuoco. La accusa di aver inventato tutto e di essere stata pagata per diffondere quelle menzogne. Randa, allora, reagisce. Davanti a milioni di telespettatori, con la voce rotta ma senza paura, grida tutta la propria indignazione: «Non mentire, papà!».

Le parole di Randa sono pesanti come pietre. Fanno sobbalzare in una società qual è quella egiziana che nutre un profondo rispetto, se non addirittura una venerazione, per i genitori e le persone più anziane in generale. Disubbidire al padre e alla madre è socialmente deprecato, recar loro qualsiasi offesa è cosa da condannare senza appello. Dare apertamente del bugiardo al proprio padre è inammissibile in privato, figuriamoci davanti alle telecamere di una tivù. Se poi a farlo è una giovane donna di povere origini, la cosa è addirittura scioccante.

La reazione di Randa, tuttavia, è la stessa di un’intera nuova generazione di giovani, ragazzi e ragazze, che hanno vissuto e (talvolta) fatto la rivoluzione, e che ora stanno lentamente cambiando la propria scala di valori. La libertà, la dignità, la resistenza ai soprusi quotidiani, sono diventate più importanti anche del tradizionale rispetto filiale. Randa non è un’attivista, né di lungo corso né dell’ultima ora, e non è nemmeno un’artista o una personalità anticonformista. È una donna «ordinaria» che in condizioni normali non attirerebbe mai l’attenzione dei mass media. Il suo grido, tuttavia, riecheggia quello di tanti altri giovani egiziani, in special modo donne. Come non ricordare quello della manifestante picchiata a sangue dai militari che, una volta in ospedale, respinge a suon di urla la visita riparatoria del feldmaresciallo Tantawi? O il grido simbolico di Samira Ibrahim, vittima dei famigerati test di verginità, che è riuscita a portare in tribunale la potente giunta militare? Non c’è dubbio che sentiremo parlare ancora molto delle giovani donne egiziane. Intanto Hamda Saber, una volta libero dalla stretta della polizia, si è finalmente rimangiato la versione che scagionava la polizia, confermando quanto tutti già sapevano. Infine, ha anche chiesto perdono ai figli, ai dimostranti calunniati e al Paese intero.

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