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Meglio essere famosi

di Giuseppe Caffulli
24 maggio 2013
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Mira Awad è una vera celebrità. Ha partecipato a un festival canoro in rappresentanza d’Israele; è stata una delle protagoniste della versione israeliana del format televisivo Danzando con le stelle. Ha consolidato la sua popolarità recitando nella sitcom televisiva Arab Labor. Mira Awad ha però un problema, anzi due: benché cittadina israeliana, è palestinese e cristiana...


Mira Awad è una vera celebrità. Ha partecipato a un festival canoro in rappresentanza d’Israele; è stata una delle protagoniste della versione israeliana del format televisivo Danzando con le stelle. Ha consolidato la sua popolarità recitando nella sitcom televisiva Arab Labor. Nata in Galilea da padre palestinese e mamma di origini bulgare, con il suo volto dai lineamenti raffinati, i suoi occhi chiari e la sua voce calda fa sognare i giovani dal Neghev alle sponde del Mediterraneo. Di lei abbiamo scritto anche su Terrasanta, in occasione di un’esibizione con la altrettanto famosa cantante israeliana Noah.

Mira Awad ha però un problema, anzi due: benché cittadina israeliana, è palestinese e cristiana.

Il 13 maggio scorso, all’aeroporto di Tel Aviv, è stata fermata dalla sicurezza per i soliti controlli che toccano a tutti, ma che sono particolarmente accurati verso i non ebrei. Di questa esperienza Mira Awad ha scritto lo stesso giorno in un post sul suo profilo Facebook.

«Sono stata controllata in aeroporto, mi hanno fatto delle domande, mi hanno messo un adesivo sui documenti e mi sono avviata alla macchina che controlla ai raggi X i bagagli. Improvvisamente, il giovane agente della sicurezza mi raggiunge. “Mira? Mira Awad?”. “Sì”, ho risposto. E lui: «Posso avere il suo passaporto. C’è un errore con l’adesivo». Gli stavo per dire: “No, nessun errore. Ho visto che hai messo quello giusto, quello destinato agli arabi”. Ma ho taciuto, perché so che a questa gente addetta alla sicurezza è stato cancellato il senso dell’umorismo durante il corso di addestramento. Così gli ho dato il passaporto. Lo ha aperto, ha tolto l’adesivo da lì e dalla valigia e me ne ha messo uno dello stesso colore ma più piccolo».

«Ecco il dilemma – continua la Awad –. Da una parte il giovane agente della sicurezza mi ha semplificato la vita mettendomi l’adesivo riservato agli ebrei; dall’altro mi rendo conto che è un trattamento per il quale è difficile dire grazie. Voglio dire… come faccio a ringraziate per il fatto di non essere più considerata una terrorista? Dovrei ringraziare che qualcuno abbia sussurrato nell’orecchio di chi dovere “È Mira Awad”, in modo che il cognome Awad non facesse più paura? Grazie per avermi promossa a cittadina di serie A? Sono diventata una dei “nostri”, o meglio una dei “vostri”. Un piccolo adesivo porta con sé un pesante carico di umiliazione, quando non di stupidità».

«Da quando, a seguito delle proteste dei palestinesi, hanno abolito gli adesivi di diverso colore (utilizzati dalla sicurezza aeroportuale – ndr) hanno pensato a sticker meno riconoscibili da un occhio inesperto, e finiscono spesso nell’infilarti in situazioni imbarazzanti, tipo: “La premiamo con lo status di persona privilegiata”. Così non potrai dire che non siamo umani! È capitato anche a me la scorsa settimana, quando un ufficiale della sicurezza desideroso di mettersi in mostra (o forse solo in vena di scherzi, se non fosse quello che ho detto prima sulle loro capacità umoristiche) ha chiesto ai suoi sottoposti di applicarmi un adesivo “regolare”. Poi, strizzando l’occhio: “Non vedi che è Mira Awad”».

«Insomma, se sei israeliano e il tuo cognome è Awad, è meglio essere famosi. Diversamente (a causa degli estenuanti controlli a cui si è sottoposti – ndr) dimentica di poter fare una visita al Duty Free dell’aeroporto. Yalla! Io ne sono uscita. Per ora».

Mira Awad, recentemente, ha partecipato come testimonial a un’imponente manifestazione organizzata in Israele dal gruppo pacifista Combatants for Peace in occasione di Yom Hazikaron, la Giornata che celebra i caduti e le vittime del terrorismo in Israele. L’intento dell’associazione di ex militari e combattenti, palestinesi e israeliani, era di celebrare tutte le vittime del conflitto, senza distinzioni, per affermare la necessità della pace e la condanna della guerra. Erano invitati anche 109 palestinesi dei Territori, aderenti all’associazione. Ma solo 44 di loro hanno avuto il permesso di varcare i check-point dalle forze di sicurezza. Per superare certe barriere non basta essere pacifisti e dichiarare pubblicamente e apertamente di rifiutare guerra e violenze. 

(Twitter: @caffulli)

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