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I ribelli curdi in Turchia ripiegano verso il Kurdistan iracheno

Terrasanta.net
15 maggio 2013
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I ribelli curdi in Turchia ripiegano verso il Kurdistan iracheno
Schieramento di ribelli curdi del Pkk in una foto d'archivio risalente ad alcuni anni fa.

Dopo trent’anni di guerriglia sanguinosa, la Turchia e i ribelli curdi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) stanno negoziando la pace. E come gesto distensivo è in corso in questi giorni il ripiegamento delle unità combattenti curde verso il Kurdistan iracheno. Un passo che rallegra il governo di Ankara, ma crea tensioni con Baghdad.


(Milano/c.g.) – Concrete speranze di pace, dopo trent’anni di guerriglia sanguinosa, tra la Turchia e i ribelli armati curdi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Un primo gruppo di miliziani del Pkk, infatti, è giunto ieri nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, al termine di una marcia serrata di sette giorni. Il gruppo di 15 militanti, comprese 6 donne, ha lasciato la provincia sud orientale di Şırnak nel distretto di Beydüşşebap, in Turchia, una settimana fa.

«Il nostro ritiro si è attuato in accordo con gli ordini del nostro capo Öcalan, con l’intento di aprire una strada alla pace», ha dichiarato Jagar, il capo di questo primo drappello di miliziani.

Da ben 29 anni il Pkk sta combattendo contro il governo di Ankara, per l’affermazione dell’identità nazionale curda. Si calcola che siano state circa 45 mila le vittime della lotta armata. Il popolo curdo conta circa 50 milioni di persone, non ha un proprio Stato ma ed è suddiviso tra Turchia, Iraq, Iran e Siria. I curdi non godono di unità nazionale già da diversi secoli. Nel Novecento, in particolare, sono stati discriminati ovunque: in Iraq il regime di Saddam Hussein ha perpetrato un genocidio contro di loro; in Siria e Turchia sono stari loro negati i diritti di nazionalità e le prerogative culturali minime, come l’uso della lingua nazionale. Questo ha provocato la reazione armata di diversi partiti curdi (tra cui il Pkk) che dura fino ad oggi.

Alcune settimane fa il leader del Pkk, Abdullah Öcalan (che, dopo essere stato catturato nel 1999, sconta una condanna all’ergastolo nelle carceri turche), aveva rivolto ai suoi la richiesta di ritiro dei membri armati dell’organizzazione dalla Turchia, per dare l’avvio ad un processo di pace. L’invito è stato accolto dal leader del Pkk del Nord dell’Iraq, Murat Karayilan, che aveva annunciato che il ritiro sarebbe iniziato l’8 maggio. Si calcola che siano circa 2 mila i combattenti curdi che in questi giorni si stanno ritirando dalla Turchia alla volta della regione autonoma del Kurdistan iracheno, dove si riuniranno alle migliaia di combattenti già sul territorio.

«Abbiamo dovuto affrontare molte difficoltà a causa della neve e della pioggia, in sette giorni di cammino, sempre scortati dall’aviazione turca sopra le nostre teste… Stavamo preparandoci a sferrare un grande attacco contro la Turchia, ma abbiamo obbedito all’ordine di ritiro di Öcalan – ha affermato Midiya Afreed, una miliziana -. Stiamo affrontando una nuova fase. Quella della pace».

Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha garantito che i miliziani che si stanno ritirando «non saranno toccati», aggiungendo che deporre le armi è la prima cosa importante che il Pkk deve fare. Dal canto suo, prima di rinunciare definitivamente alla lotta armata, il movimento ha chiesto maggiori diritti costituzionali per i curdi della Turchia, che costituiscono circa il 20 per cento della popolazione turca (70 milioni di persone). «Continueremo ad essere operativi dal punto di vista militare fino a quando il governo turco non farà i passi necessari per assicurare la pace – ha dichiarato Rohat, un comandante del Pkk di Harur, in Turchia –. Tra questi passi ci sono anche gli opportuni emendamenti alla Costituzione turca e il riconoscimento del diritto ad una dignità nazionale per il popolo curdo. Come ad esempio una maggiore autonomia e il diritto ad usare la lingua curda».

Secondo l’agenzia France Presse il governo iracheno martedì ha dichiarato che considera l’ingresso di miliziani curdi dalla Turchia sul suo territorio come una «flagrante violazione» della sua sovranità nazionale; e ritiene che questo incrini le relazioni tra l’Iraq e la Turchia. Baghdad si riserva di presentare una protesta formale al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

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