Ieri a Mosca il segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov per parlare della situazione siriana. Russia e Sati Uniti hanno annunciato la volontà di organizzare entro fine maggio una conferenza internazionale, con l’obiettivo di porre fine alla guerra in Siria.
(Milano/c.g.-g.s.) – Ieri a Mosca il segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov per parlare della situazione siriana.
Al termine dei colloqui Kerry e Lavrov hanno spiegato ai giornalisti che Russia e Sati Uniti hanno intenzione di organizzare prima della fine di maggio una conferenza internazionale, con l’obiettivo di porre fine alla guerra in Siria.
Il loro proposito è quello di convincere governo siriano e opposizioni ad accettare il cuore di una vecchia proposta della diplomazia internazionale: lanciata il 30 giugno 2012 alla sede Onu di Ginevra, propone di porre immediatamente fine alle violenze e di costituire a Damasco un governo di transizione di cui facciano parte sia esponenti del governo di Bashar al-Assad, sia membri dell’opposizione. «Crediamo cha l’accordo di Ginevra sia la chiave per porre fine allo spargimento di sangue in Siria – ha dichiarato Kerry, incontrando i giornalisti – . L’alternativa è che la violenza aumenti ancora, che la Siria si avvicini all’abisso». Lavrov ha lodato il governo siriano per la sua volontà di discutere di una transizione politica, mentre ha criticato l’opposizione per non aver detto «una singola parola a proposito del proprio coinvolgimento». Va però ricordato che fino ad oggi il presidente Bashar al-Assad, alleato di Mosca, ha sempre rifiutato di farsi da parte, come chiedono i ribelli, e ciò ha rappresentato un ostacolo insormontabile.
Lakhdar Brahimi, inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba in Siria, ha «accolto con calore» l’accordo tra Stati Uniti e Russia per insistere sulle due parti avverse in Siria, perché fermino la strage. «Questa è la prima notizia di speranza da molto tempo, che riguarda quell’infelice Paese – ha dichiarato Brahimi -. I progressi fatti a Mosca costituiscono un primo passo davvero significativo nella direzione giusta».
Prima della notizia dell’accordo, Brahimi aveva comunicato di aver pensato di dimettersi, proprio a causa della mancanza di iniziativa politica finalizzata a risolvere la brutale guerra civile in corso in Siria. «Ora ci sono buone ragioni per sperare», ha sostenuto Brahimi nella sua dichiarazione.
Intanto la guerra in Siria continua, avendo rischiato in questi giorni di sfociare nel coinvolgimento del vicino Israele. Venerdì e domenica scorsi Israele, infatti, ha bombardato siti militari vicini a Damasco, dove erano dislocati missili iraniani di alta tecnologia che aspettavano di finire nelle mani di Hezbollah. Secondo l’Osservatorio siriano sui diritti umani nel corso del bombardamento «almeno 15 soldati sono stati uccisi, mentre i dispersi sarebbero dozzine».
Il governo siriano ha subito reagito lanciando tre missili sulle alture del Golan occupate da Israele. Tuttavia la reazione siriana non ha avuto conseguenze mortali sulla popolazione e non sembra aver preoccupato molto Israele, che ha comunque schierato vicino alla città costiera di Haifa due batterie di missili del sistema di difesa Iron Dome («Cupola di ferro»), in grado di intercettare i razzi del nemico. Il recente bombardamento israeliano, secondo fonti militari di Gerusalemme, avrebbe avuto come obiettivo non tanto il governo di Damasco, quanto l’organizzazione libanese Hezbollah, nemico storico di Israele, che in questo momento sta combattendo in Siria a fianco di Assad. Quest’ultimo, da parte sua, ha minacciato gli israeliani di più gravi rappresaglie militari nell’eventualità di nuovi attacchi in territorio siriano.
Intanto sembra accertato il ricorso ad armi chimiche. Le indagini per chiarirne le circostanze sono in corso da parte delle Nazioni Unite e degli Usa. Il 30 aprile scorso, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente Barack Obama ha dichiarato: «Abbiamo le prove che armi chimiche sono state utilizzate dentro la Siria, ma non sappiamo come o quando siano state impiegate, e neppure chi vi abbia fatto ricorso». Domenica 5 maggio si è spinto oltre il magistrato svizzero Carla del Ponte, che è tra i membri della commissione d’inchiesta incaricata di riferire al Consiglio Onu per i diritti umani entro fine giugno sulla situazione in Siria. Benché abbia precisato che le indagini proseguono e gli esiti non sono definitivi, la del Ponte ha attribuito ai ribelli, e solo a loro, l’impiego del letale gas sarin.